MEMORIE DAL GIAPPONE

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Rammento il primo incontro con il Giappone, appena arrivato dopo ore di rombo nelle orecchie, schiacciato tra corpi e carlinga, quasi soffocato contro un finestrino.

Mondo ordinato, lindo, vetri puliti, facce assonnatamente cordiali. Un Mondo che mi attende, mi scruta, mi controlla il passaporto con attenzione. Un Mondo in anticipo di 8 ore sul mio tempo romano. Persone che parlan sottovoce, accorrenti a passi veloci e apparentemente per fini sempre concreti. Sembra che qui tutto sia finalizzato, organizzato, vetrificato …per riuscire gradevole e forse anche simpatico. Almeno in quest’ angolo di Mondo sembra che i pezzi del puzzle sociale combacino, organizzati ineccepibilmente bene. Il profumo dell’ efficienza si insinua nelle narici, mi induce a pensare d’aver trovato un luogo opposto al caotico non sapere e non voler fare di molta stirpe italica.

Tokyo

Tokyo è somma di numerose città, ognuna con un gusto particolare, un ritmo particolare, una vocazione autonoma e a volte unica. A vagare tra queste città si cambia ambientazione, sapore dell’aria, criteri estetici….quasi ovunque. Di giorno, rabbia di vivere cercando di produrre sempre più e sempre meglio..ma di sera, spesso basta sbagliare la strada ed è possibile trovare silenzi di vie perfette, lampioni azzoppati, case ancora di legno addossate a splendenti edifici di vetro. Quando si è stanchi di sentirsi spiaggiati su marciapiedi lavati e stirati dal sole d’ Agosto, si torna sui corsi pulsanti, sempre alteramente e modernamente eleganti, inebriati di frenesia d’acquisto sfiorando vetrine sontuose, merci stupende, prezzi che sembrano distanze astronomiche spiegate ai bambini. A Tokyo non corrono tutti, Tokyo e Giappone a volte divorziano… e questo succede tra ombre di vie quasi dimesse, d’un metro soltanto lontane da grandi buildings iperattivamente vissuti. A Tokyo esistono torrenti d’asfalto eleganti e dimessi, quartieri che sembrano usciti da studi di design. A volte solo vie strette, neppur troppo lunghe, ma vive di ritmi raccolti e sereni. Ho visto impiegati in pausa di pranzo non correre atterriti dal tempo residuo, ho visto intere famiglie andare per mano all’asilo, fermarsi a comprare dolcetti e sedersi a bere dell’acqua….cose normali, ritmi normali….poi, fuori da quel confine segnato dal tempio rosso in fondo alla strada, ancora rincorsa, frenesia, luci dai pezzi di vetro che fermano nubi…fuori da qui il Giappone, l’unico che conoscevo.

Automobili

Ecco la mia amica giapponese: agita le braccia quasi a svitarsele e, poco dopo, una sorpresa: la sua automobile sembra uscita da un centro di bellezza: ogni particolare curato, strigliato…e, con il clima torrido all’esterno, i sedili posteriori sono avvolti in una spessa e morbida coltre bianca di pelliccia mista a pizzetti. Ecco raggiunto l’effetto desiderato: la temperatura esterna ora pareva quasi invitante. Persi nell’immensa comunità di automobili poco “mobili” del traffico di Tokyo, scorgevo la Torre bianca e rossa della televisione, omaggio alla Tour Eiffel…citazione in salsa europea con travi di ferro e colori. Mi sentivo un poco a casa. Il traffico di superficie a Tokyo è una sfilata di automobili lucidate, spesso arredate con ninnoli e cuscini, mentre nelle auto pubbliche trionfano i pizzi giganti sulle spalliere dei sedili e tassisti e conducenti dei bus di linea, uomini e donne in divisa impeccabile, guidano usando guanti bianchi, precisi e cordiali, comprensivi e pazienti con gli stranieri. Tra le strade di Tokyo, questo agosto, la temperatura è alta, e il grado di umidità elevato. Stranamente non percepisco l’ odor di morte per asfissia aromatizzato ai tubi di scarico tipico di Torino…e questo mi pare incredibile: in Torino vivono mediamente meno di un milione di persone, mentre qui, nell’area cittadina, circa 35 milioni di corpi si agitano e si muovono; eppure, come altre volte già notai, l’ aria è inodore, i muri dei palazzi sembrano meno sozzi, l’asfalto più lucido che a Torino, Milano,Roma… Sarà veramente più respirabile a causa delle molte auto elettriche e dei prezzi mediamente alti dei parcheggi in centro?

 

                                                                                                                         Strade, Indirizzi

Le strade di Tokyo sono indelebili, come se ogni dettaglio fosse incavato nel tronco del Mondo. Edifici precisi e puliti le corteggiano, templi ed altari qui sgorgano da pietre di angolo, inattese statuette e ripari per pioggia, oppure all’ ingresso di giganti di vetro, e prima d’entrare preghiere, miti, pensieri, concentrazione. Solo le grandi arterie del traffico portano nomi sui loro cartelli, come insignite d’onore speciale; tutte le altre più umili vie raramente recano nomi, almeno visibili a me: imbevuto di questa ignoranza ogni volta che cerco indirizzi devo quasi svenire su cartine e ricerche al computer. Poi disceso su strada, la gente che aiuta, che si ferma per darti il suo tempo….che spesso accompagna il viandante straniero alla meta, anche lontana, anche non conoscendo l’inglese di rito: con gesti e sorrisi ti guida, capisci, ti senti di quasi conoscerli bene. Giovani e vecchi rispondon cortesi, affabili…che strano: parole d’umani simpatici al posto di scritte e cartelli...meraviglia.

Vita sotterranea

I treni delle metropolitane di Tokyo sfreccian nei budelli del sottosuolo, uscendo dal perimetro cittadino anche per molti chilometri: non riesco ad immaginare come sia stato possibile per bipedi come me pensare, organizzare, costruire e mantenere funzionante un tal groviglio di rotaie, orari, cavi, biglietti….e l’elemento umano, forse considerato, pare servito e conglobato in questo progetto globale. Gente accasciata su panchine di panno azzurro o verde grigio, appesa ai sostegni come foglia matura. Eserciti di morti di sonno vaganti e compostamente adagiati; questo uscire dal mondo spremuto al tempo produttivo, oppure le mani serrate a scriver messaggi su telefoni molto simili: dita voraci di toccar tasti, occhi ancor vigili sol per i messaggi, pochissime parole scambiate con altri mammiferi in piedi, gambe dolenti, passando dalla letargia alla massima efficienza in men d’un secondo; fermata, discesa..tutto riprende, cuore che batte in riserva, mente lasciata in azienda: la febbre del solo produrre tutto divora. Sotto le gigantesche volte delle stazioni sotterranee sfilano negozi, ristoranti, pizzerie, torterie…tutto lo scibile umano condensato e offerto a gente che mangia, lontana dal cielo, sprofondata nel ventre di Gea, che trova di tutto qua sotto. Flusso di corpi inarrestabili, canali di sfida di popoli frettolosi, abbronzati di neon, chiamanti all’appello di telefoni sommessi, educati e rampanti figli consumatori, genitori compressi in vagoni nell’ora di punta. Popoli sotterranei senza schiamazzi, rispettosi, austeri, stanchi o sfiniti, a volte giocosi, persino allegri. Giornate passate a guardarli migrare dal mondo col cielo fin qua, dove la voce riveste mattonelle di cotto e sipari di latta agli ingressi. Quanta fatica per esser veloci, organizzare le orde, nutrire e spillare danari!

                                                                                                                                     Cavi neri

Cielo percorso da linee nere, contorni incernierati, cavi appollaiati e pesanti su pali puntellati, cavi avvitati a semafori e case, cavi fluttuanti sotto ponti e binari. Poesia dei cavi di Tokyo, affascinati da tutto ciò che è supporto alla loro vita, arrotolati e presentati in disordine annunciato. I cavi delle vie di Tokyo, sempre presenti tra nubi ed occhi che cercan da terra le stelle, legioni marcianti di ragni, recanti comodità e luce in ogni meandro del mondo. Poesia di linee, compagni di tutti.

 

Parchi,Templi

Ricordo dei parchi come di vetro, rigati da eterni sentieri selciati, rigagnoli d’ acqua corrente, contorni studiati per darmi la pace.Non fili d’ erba ma studi di grafica, spiazzi e cartelli, file di templi cornuti, a pagoda, con giganti che posano irati. Spesso steli di tombe prolificano accanto ai templi oppure autonomamente, in grandi parchi tematici, ondulati ed irti. Steli con segni incisi a nero, sparuti batuffoli divorati dal sole e dal vento, forse un giorno furon fiori di plastica. Come piccole foreste di pietre, stretti sentieri tra le file ordinate, geometrica sfida alla morte, reiterati parallelepipedi di pietra . Ricordo ristrette salite di pietra, tabernacoli piccoli al fondo, tradizionali lanterne in cortili e profumo di Zen. Ghiaia rastrellata e sopita, dovrebbe ridarmi la calma, ripetere l’ onda di vita che sono. Sento cantare un prete seduto, mezzo nascosto dall’ombra dei bambù….calore tremante nell’aria, orme di pellegrini e cappelli di giunco, ancora lanterne di pietra, l’ onda del fato che sorge e legno antico sotto piedi nudi…meraviglia.

Azzurro tra siepi

Tra rami e piccoli arbusti l’ azzurro: nailon per tende, conficcate dietro file d’alberi e siepi, nascoste allo sguardo. Popolo di samurai improvvisamente rimasti senza padrone, scaricati dalle aziende che davan tutto alle loro vite di mariti, padri, amanti, produttori e consumatori. L ‘azienda promessa, sogno d’una vita, le promesse dell’azienda, le delusioni dell’azienda. Ora emarginati, in file ordinate davanti al camioncino dell’organizzazione di carità che porta piatti di riso, cibo cotto, bevande, in fila a riconoscersi nel fallimento incomprensibile, nel voltolarsi nella nuova giornata senza speranza. Corpi vaganti, ora sdraiati sulle panchine o tra l’erba, nel girone in attesa, delusioni coperte d’abiti, all’ombra della tenda azzurra. Alcuni tra loro forse domani non saran più qui, mangiati dalla crisi globale, sminuzzati dalle ruote della metro o beccati dai gabbiani sulle rocce.

 Dolcetti / Scherzetti

Golosità è rito e conforto. Ovunque si trovan negozi pieni di pani dolci, fritti, riempiti di pomate agli aromi, in sembianza di torte o anche panini. Ma dolci soltanto alla forma, almeno per me, perché una volta addentati sorprende il sapore di troppo poco salato e troppo poco dolce. Tentativi di creare qualcosa di zuccheroso o estremo adattamento e concessione alla moda zucchero dipendente allogena di un popolo abituato al sushi e solo agli zuccheri della frutta? Pioggia tra le curve di vie strette, eleganti. Imperativo cercare rifugio dai pungiglioni di mille zanzare, nel primo locale con tavolini inzuppati di acqua, all’interno giovani senza troppa vita che attendono. Qui tra le piogge di Tokyo e la curva, grondaie in rivolta e cactus finti,  ho bevuto il caffè più schifoso del mondo civile. Forse lo fecero apposta, quei giovani morti alla cassa, forse si usa così tra queste vie strette.L’orrido gusto ancor mi percuote la mente. Lunghe file di cravatte ondeggianti, maniche corte, piedi svelti in scarpe nere….occhiali posati su facce cerulee…ricerca del tempo che non c’è o che è troppo poco…tempo di nutrirsi e tornare in azienda. Seguendo il torrente improvviso degli impiegati si scoprono luoghi di rito e di svago, campioni del sano, economico, svelto impinguarsi la pancia e poi ritornare a produrre per altri. La casa che inghiotte i risparmi, il tempo soltanto per cadere sul letto la sera.

 

Altro Giappone

Confini di Tokyo, altro Giappone, il mondo li cambia. Confini di grandi altre città, simili alla capitale: dentro il riverbero accelerato di cuori e polmoni votati al successo, tutto velocemente trascorso, massima resa, sorriso del capo in ricompensa. Appena il confine si sposta, anche di poco, tutto rallenta, quasi sornione diventa: cittadine, paesi sotto il sole, calura, negozi che aprono tardi, locali uggiosi che chiudono presto la sera. Notte solo di lampadine vestite, lampioni che cercan passanti, il ritmo non più ossessivo del viver per produrre, ma tempo per leggere i manga. Ancora templi di legno, scuri e rifatti…tempo per visitarli con calma. Natura pensata da mani diligenti, natura ancora selvaggia ….meraviglia.

Cervi di Nara

Son centinaia i cervi di Nara feudale. Sono migliaia di corna e macchie biancastre, s’aggirano fieri, come fiori marroni adagiati su strade e sentieri. Quasi educati, anche se spesso irritati da mani troppo invadenti cercano il morso alle dita, si senton cavalli e comincia lo scalcio. Vivono liberi, almeno di giorno, liberi d’esser nutriti da umani turisti, pargoli urlanti, madri timorose, giovani ragazze vistose con gonne alla moda. I cervi di Nara signori dei parchi, vaganti quadrupedi bradi, attendono immoti che il bipede acquisti per loro gallette di erbe: non saccheggiano i carretti dei venditori, attendono educatamente in fila…così fanno i cervi di successo a Nara!

Stazione di Kyoto

Minotauri vaganti. Folate di giovani gambe scoperte, come insetti vibranti in cerca di foglie, sciamano in coro ruggenti, fameliche folle. 300 kilometri orari, sbalzi d’ umore, rattrappiti, alcuni, dal gelo dell’ aria. Medievale battaglia, con lance, ombrelli, scudieri a vecchie zie logore… scambiarsi pacchetti e bastoni, arrotati da mille ruote sui piedi. Approdo insicuro, dopo bolge veloci…sapore di polvere, pianto di bimbi…assalti di dubbi e ritiri. La luce risplende, fondo del pozzo…poi, il bianco e l’ azzurro del cielo appena intravisto in vetrate, alte. Fischi in sordina, tutti allo stesso destino: usciamo nel pozzo frusciante, in alto scintille, cemento, scalini a migliaia. Vento immagino la sopra, dove occhio non coglie che ombra. Intorno guardiani e negozi, le gambe di prima correnti, respiri..un aculeo rosso e bianco confitto nel cielo…intuisco la piazza, folate di auto, turisti bollenti. La nave futura del Sole, vetro e colori, cemento in salita e mille più mille scalini, privi di sforzo mi portano i piedi alla cima. Duomo coperto d’ arcate, vetri, ristoranti, bibite, un palco a segnare confini, poi ancora salita. Scivola oltre i pannelli di vetro, nel profondo ristagno dell’ aria, la Kyoto moderna. Di fronte, a specchiarsi, l’ acuto puntale di prima: geniale trovata davvero, questa stazione di treni veloci, non sai se rapirla nel sonno o chiuderla in gabbia sul mare. Fortuna è pur questo: vedere il prodigio e poterne parlare.

Kobe

Fasciame di legno, corde, albero maestro incastonato. Intorno ruote frullanti dei pattini, ruota gigante rossa. Torre di fiamma vicina alla riva…lo spicchio del molo, masticato cemento, come arato di fresco, quel tratto di ghiaia, ancora i lampioni sommersi a ridire paura, lampade in ricordo. Demolita, stroncata dalle urla di Gea, Kobe ora è grandiosa, marinara, genovese, signora. In alto le case straniere, qualcosa installato di alieno, un orto vichingo, porta europea, cartelli d’affitto sui muri. In alto sulla collina verde, sentiero perfetto, fino alla nuova stazione dei treni frenetici. Tutto giocato sul nuovo, grandioso palazzo, ragazzi dormienti sui tavoli. Intorno, in vetrine, l’oro del mondo, forse compenso per quelle navi, marinai ricostruiti di Kobe, come la Santa Maria, caravella perfetta, che guarda il piegarsi del mare. Bianca Kobe di smalto, centro costretto tra colle e respiro dell’ acqua. Poche le spiagge ricordo, dolce memoria del ritmo, camera d’ Oceano in tasca….meraviglia.

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Nelle immagini scorci di Kyoto.

 

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