TRA CRISI E INSTABILITA’ DI GOVERNO, CHE FUTURO CI ATTENDE?

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5813465094_5fbc3d10cfCome se la crisi non fosse già abbastanza, ora dobbiamo vedercela anche con l’instabilità di governo. Per non parlare dello spauracchio di poter finire come la Grecia. Tra negozi che chiudono, disoccupati che aumentano e famiglie che faticano ad arrivare a fine mese, la situazione è tutt’altro che rosea. I catastrofisti tratteggiano uno scenario secondo il quale saremo costretti a barricarci in casa per l’aumento della criminalità e sostengono che la disoccupazione e la disperazione potrebbero diventare terreno di coltura per circuiti eversivi. I “buontemponi” (pochi per la verità) provano a riderci sopra e citano (ad esempio) la Littizzetto che ha fatto notare come ormai non abbiamo più certezze (né il governo, né il papa né le polpette dell’Ikea). Poi, per fortuna, ci sono anche quelli che si sforzano di guardare la realtà senza farsi tante illusioni, cercando però almeno di capirci qualcosa e di vedere che fare, in tanta confusione, per arginare la situazione o almeno per evitare il baratro. Ma riuscire ad immaginare possibili scenari futuri è tutt’altro che facile perché come al solito tutti dicono tutto e il contrario di tutto e capirci qualcosa sta diventando una vera impresa. Gli opinionisti che, in questo momento, indicano possibili soluzioni o vie da intraprendere per far ripartire l’economia del paese e contenere i danni della crisi, sono molti. C’è anche chi da consigli al singolo cittadino su come investire i risparmi di una vita (onde evitare che se li mangino totalmente, le tasse, gli interessi etc), su come trovare lavoro (e in quali settori) ma anche su come barcamenarsi per sbarcare il lunario e per riuscire ad arrivare a fine mese. C’è addirittura un blog, in rete, che spiega come andare a vivere in campagna, farsi l’orto e confezionarsi qualsiasi prodotto in casa (anche il dentifricio), così da poter sopravvivere con 5 euro al giorno. Ma senza arrivare a questi ridicoli estremi, le iniziative in tal senso ormai non si contano. Ogni ateneo o istituzione che si occupi (anche solo marginalmente) di economia, organizza i suoi convegni e le sue lezioni in merito. E quasi tutti gli economisti e/o i sociologi che si rispettino hanno sfornato i loro consigli sotto forma di saggi o manuali. Proviamo allora ad orientarci tra le varie proposte. Un libro interessante è ad esempio “Il lavoro perduto e ritrovato” di Davide De Palma (edito da Mimesis), una raccolta di saggi in cui numerosi tra intellettuali e manager si interrogano sul lavoro nella società in crisi. La raccolta di saggi apre un dibattito sull’occupazione che va oltre le sole questioni salariali e contrattuali per promuovere una nuova era del lavoro dove l’uomo non sia più perduto ma ritrovato. Più concreta invece la Scuola di formazione politica di Libertà e Giustizia che dedica quest’anno una serie di lezioni a “Il lavoro come questione sociale”. La Scuola di Pavia, giunta alla sua VII edizione, si interroga, infatti, sui motivi che impediscono ai lavoratori di esercitare i propri diritti, oggi non più garantiti: chi lavora è precario, è pagato meno ed è più ricattabile. “La nostra Repubblica” come recita la brochure stessa del corso “rischia di essere fondata non più sul lavoro ma sullo sfruttamento delle persone” e ancora “è in corso un attacco al rispetto del lavoro che non ha precedenti storici e che nega i valori stessi della democrazia”. Come reagire dunque? A rispondere a tale domanda saranno (tra il 16 e 17 marzo e poi il 6 e 7 aprile), studiosi, economisti e giornalisti quali Stefano Rodotà, Maurizio Landini, Tiziano Treu, Chiara Saraceno, Marco Leonardi, Francesca Zajczyk e Salvatore Veca, per citarne alcuni (info su www.libertaegiustizia.it). Un’altro appuntamento interessante è quello proposto dall’Associazione amici dell’Università in collaborazione con l’Ateneo torinese. Si tratta di “Investire in tempo di crisi”, a cura della Scuola di Management ed Economia.  A parlarne saranno (lunedì 18 marzo alle 18, nell’aula magna del rettorato – via Verdi 8) Sergio Bortolani direttore della scuola e Sabrina Frassi, responsabile wealth management di Banca Intermobiliare (www.universitachecontinua.it). Ma torniamo ai libri. “Alfabeto economia” (Marsilio), di  Marco Simoni, politologo e docente alla London School of Economics, analizza i motivi per cui il capitalismo italiano non cresce più, partendo dalla considerazione che nella Seconda Repubblica è mancata una coerente visione politica delle  riforme economiche attuate. “Bancarotta. L’economia globale in caduta libera” di Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia è, invece di sicuro, quello con il titolo più inquietante. Stiglitz rinnova le sue critiche all’attuale sistema finanziario globale e alle politiche economiche dei grandi della Terra. Un po’ più ottimista è “Il contagio. Perché la crisi economica rivoluzionerà le nostre democrazia” pubblicato da Bur. L’economista Loretta Napoleoni (che aveva già scritto “Economia canaglia”), analizza  qui come l’impoverimento della classe media, la disoccupazione, lo strapotere di una classe di privilegiati e la corruzione siano gli ingredienti che hanno scatenato la rivolta nei Paesi del Nord Africa e del Medioriente. Questi però, specifica, sono anche i nostri problemi. Spiega pertanto come l’alleanza tra una politica sempre più corrotta e una finanza sempre più avida ci stia portando alla rovina. Dalla primavera araba, che ha abbattuto i regimi dittatoriali della Tunisia e dell’Egitto, arriva dunque una nuova ventata di protesta e di impegno che si sta diffondendo ovunque. Più o meno dello stesso avviso e Luciano Gallino, docente dell’Ateneo torinese, nel suo saggio “Finanzcapitalismo. La civiltà del denaro in crisi” edito da Einaudi, ma tra i suoi altri testi (tutti assolutamente illuminanti) potremmo citare anche “Il modello sociale europeo davanti alle sfide globali” scritto in collaborazione con Joerges Christian (Armando editore) e “Il lavoro non è una merce. Contro la flessibilità“ pubblicato da Laterza. Concluderei con un ultimo, interessantissimo saggio del francese Christophe Dejours che si intitola “L’ingranaggio siamo noi” (Il Saggiatore) in cui si spiega il processo ma anche i meccanismi sociali che portano a diventare indifferenti ai problemi economici degli altri, al loro licenziamento o alle forme di sfruttamento. Oltre alla messa a nudo del processo che ci porta a separare sofferenza e ingiustizia sociale, la chiave del libro consiste nell’evidenziare come l’assenza di solidarietà e l’aumento di tolleranza sociale al male siano imputabili all’assenza di prospettiva e soprattutto ai sentimenti di paura e di vergogna.

 

immagine di Vincent Teriaca

 

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