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LETTURE PER LE FESTE

Le festività natalizie sono un’occasione per leggere di tutto e di più. I lettori non occasionali, però, che difficilmente si accontentano dell’autore del momento o dello scrittore di tendenza (che a volte risulta essere il  deludente risultato di un’operazione di marketing), vanno a caccia di titoli “alternativi”, seguendo operazioni di “repêchage” segnalate da riviste e siti specializzati o tam-tam che si creano tra chi ha gusti simili . Fatta questa premessa, vorrei provare a tracciare, come già l’anno scorso, una breve panoramica di letture che esulano dalle classifiche dei best sellers, dalle ultime pubblicazioni delle case editrici (promosse a pié pari in tutte le librerie) o dagli autori improvvisati  che vendono in base ai loro passaggi televisivi. Lungi dal pretendere che i miei gusti possano incontrare quelli di tutti, ho comunque scelto quest’anno il filone dei classici inglesi (o anglo-americani) che va da metà Ottocento ai primi del ‘900. In particolare alcuni autori impropriamente ritenuti minori (perché in Italia, tradotti e pubblicati da poco tempo) e che invece sono stati o sono in via di grande rivalutazione. Comincerei da Anthony Trollope (che nel Regno Unito è tanto noto quanto Dickens) e, in particolare, dal romanzo “Lady Anna” (Sellerio) nonché da Elisabeth Gaskell con il suo “Nord e Sud” tradotto e pubblicato di recente dalla neonata agenzia letteraria “Jo March”. Entrambe descrivono e raccontano, attraverso le vicende dei loro personaggi,  la società vittoriana alle prese con i cambiamenti legati al progresso tecnico e all’affermarsi della borghesia imprenditoriale che aprirà le porte alla modernità con tutti i suoi aspetti positivi ma anche e soprattutto negativi. “Nord e sud” descrive molto bene, ad esempio, il passaggio da una società rurale e agricola (costituita in prevalenza da contadini, commercianti e nobili tenutari) che sta pian piano scomparendo per lasciar posto alle prime fabbriche e a nuovi ceti sociali come quello operaio e quello dell’imprenditoria borghese. Verso la metà dell’800 cambia, infatti, completamente il concetto di lavoro e professione. Prima lavorare era considerata una cosa disdicevole. Un vero gentleman non aveva professione e si limitava a gestire il patrimonio e la tenuta ereditati dalla famiglia. Con l’avvento delle fabbriche invece prende piede la figura dell’uomo che si fa da sè. Il risultato è un periodo di grande confusione, grandi interessi in gioco e grandi cambiamenti in cui la nobiltà piuttosto colta, ma in via di decadimento economico, è costretta a confrontarsi con i nuovi ricchi per lo più poco istruiti e che non conoscono le ferree regole dell’etichetta dell’epoca (o del sapersi comportare in società). Le vicende qui sono narrate dall’ottica di una giovane donna costretta a trasferirsi dal mondo rurale del Sud dell’Inghilterra nella nordica città industrializzata di Milton e ad imparare nove “regole” di vita e il gergo di fabbrica considerato all’epoca disdicevole tra le persone e le ragazze “per bene”. Dalla confusione e dal soprapporsi di usi e costumi diversi, nascono, dunque anche situazioni grottesche o surreali che arrivano ad essere talvolta esilaranti (soprattutto nel caso di Trollope). “Lady Anna” racconta, ad esempio, di un intricato processo per il riconoscimento di un lascito ereditario e di un titolo nobiliare a una giovane donna, intorno al quale si muovono vicende umane e peripezie ancora più intricate e dietro il quale si cela in realtà la contesa ideologica tra i diritti della nobiltà di nascita e le pretese del merito borghese. Un tema scabroso per un’epoca in bilico tra progresso e modernità da un lato e attaccamento ai valori di una società che sta scomparendo. Questi nuovi ricchi poi si rivelano essere , in taluni casi, loschi faccendieri dall’oscuro passato, che speculano in borsa o mettono in piedi truffe colossali. E’ il caso del libro  “La vita oggi”, sempre di Trollope, che trae ispirazione da una serie di scandali finanziari realmente scoppiati intorno al 1870. Si tratta, come specifica la quarta di copertina,  di un’ambiziosa satira sociale che muove una miriade di personaggi attorno ad un finanziere, August Melmotte, dall’oscuro passato, che si trasferisce a Londra con la famiglia e si imbarca in un colossale investimento, che attrae e travolge quasi tutti i personaggi. “Il protagonista vero che qui Trollope mette in scena è la disonestà dei suoi tempi, di perturbante attualità nel confronto spontaneo con i nostri. Disonestà politica, morale, intellettuale, perfino giornalistica, oltre che economica”. A cavallo tra ‘800 e ‘900 troviamo, invece, a descriverci più o meno degli stessi argomenti, ma con mano decisamente più lieve (e senza scandali finanziari), Elizabeth von Arnim, che ebbe i natali in Australia (nel 1866) ma da genitori appartenenti a una famiglia della borghesia coloniale inglese di Sydney. Due libri in particolare: “Un incantevole aprile” (trasposto in film nel 1992 dal regista Mike Newell, noto per il suo “Quattro matrimoni e un funerale”) e “Uno chalet tutto per me”, pubblicati da Bollati Boringhieri rispettivamente nel 1993 e nel 2012. Il primo parla di quattro donne che, rispondendo ad un annuncio pubblicitario sul Times rivolto a coloro “che apprezzano il glicine e il sole”, prendono in affitto una residenza in Liguria per un mese. Si tratterà di un mese rivelatore per tutte e quattro le protagoniste che, alle prese con alcuni imprevisti, abbandoneranno a poco a poco i formalismi imposti dalla società e scopriranno nuove risorse personali e nuove forme di comunicazione. La vicenda del secondo romanzo è ambientata invece nell’estate del 1919. Oppressa da una profonda tristezza causata dagli orrori della guerra, Elizabeth, la protagonista, si rifugia nel suo chalet svizzero. Anche questa “vacanza” si rivelerà foriera di nuove esperienze e conoscenze stimolanti, ma soprattutto questo romanzo offre una serie di riflessioni sull’importanza del preservare la vita e sull’insensatezza della guerra. Un’altra scrittrice interessante dei primi del ‘900, su cui farei un’eccezione poiché, in realtà, è newyorkese (stabilitasi però in Europa) nonché già un po’ più conosciuta e pubblicata in Italia (anche se non così nota al grande pubblico), è Edith Wharton. E’ conosciuta soprattutto per via della trasposizione filmica del suo romanzo “L’età dell’innocenza” ( del 1993) per la regia di Martin Scorsese. I suoi romanzi sono tanti e quasi tutti molto belli. Oltre a “L’età dell’innocenza”, segnalerei  anche “Bucanieri” edito da Corbaccio. I bucanieri erano gli americani che con le loro “ricchezze nuove” andavano all’assalto dei tesori dell’arte e della cultura del vecchio mondo. La trama si incentra sulla storia di cinque ragazze che, vedendosi respinte dalla buona società newyorchese di fine ‘800 (a causa dei patrimoni troppo recenti delle loro famiglie), decidono di partire alla conquista dell’Inghilterra. Ricchezza e bellezza erano qualità ricercate in un paese dove i nobili erano gravati dai debiti e si lasciavano volentieri conquistare dalle giovani avventuriere. Era consueto, infatti, all’epoca barattare un titolo nobiliare con un ingente patrimonio. Molti nobili salvavano le proprie tenute e i propri castelli dal degrado, sposandosi con americani sfacciatamente ricchi. Ne è un esempio Undine Spraag, la protagonista de “L’usanza del paese”, un altro romanzo di Edith Wharton, che oggi purtroppo in Italia mi risulta essere fuori catalogo ma che è possibile trovare sulle bancherelle o nelle librerie dell’usato. La giovanissima e ambiziosa  Undine vorrebbe fare un matrimonio che le porti riconoscimento sociale e aumenti il suo patrimonio. Dalla sua parte non ha, infatti, che una discreta ricchezza (accumulata dal padre), la giovinezza e la bellezza .  Non ha un nome che conti, né un’educazione o un minimo di cultura (tutte cose che, a differenza di oggi, contavano moltissimo). E’ inoltre una ragazza viziatissima dai genitori, che appartengono a quella schiera appunto di “nuovi ricchi” ignoranti per i quali l’unico valore è rappresentato dal denaro capace, secondo loro, di comprare qualsiasi cosa o persona. Scopriranno però, anche a loro spese, che non è tanto facile affrontare la scalata sociale senza un’educazione e una cultura adeguate e senza un minimo di valori e/o di senso di morigeratezza o saggezza e che vivere solo per accumulare beni materiali, soldi e riconoscimenti sociali può rivelarsi comunque tremendamente frustrante.  Anche qui viene descritta una società in cui la vecchia aristocrazia con i suoi rigorosi codici di comportamento sta declinando per lasciar posto a personaggi senza scrupoli e senza cultura che si arricchiscono per lo più speculando in Borsa. Anche qui regna sovrana su tutte le vicende  umane, solo l’apparenza come già accadeva ne “La fiera della vanità” di William Thackeray, che cito solo perché è il classico romanzo in cui il titolo, da solo, dice tutto.  Anche da questo libro, comunque, è stato tratto un film nel 2004 per la regia di Mira Nair con  (la non molto adatta alla parte della protagonista) Reese Witherspoon e Gabriel Byrne, perfetto invece nel ruolo del marchese di Steyne, dedito al collezionismo d’arte e al libertinaggio.

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immagine di Vincent Teriaca

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