MA LA MATERNITÀ NON ERA UNA SCELTA?

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5538463498_1c3d6349da_mMigliaia di donne hanno raggiunto lo scorso primo febbraio, la stazione di Atocha a Madrid per far partire il “treno della libertà”,  la manifestazione per protestare contro il progetto di legge antiabortista del governo Rajoy. Da allora le proteste non si sono più fermate. La suddetta proposta è quella  denominata “Legge organica di protezione dei diritti del concepito e della donna in gravidanza”. Dall’essere un diritto, come nella legge Zapatero del 2010 (una delle più permissive), l’aborto tornerebbe ad essere, dunque ora, un reato, sebbene depenalizzato. Il disegno di legge proposto dall’attuale governo è, infatti, uno dei più restrittivi e consente l’aborto solo in caso sussistano gravi rischi per la salute fisica o psicologica della donna o in caso di violenza sessuale. Non ammette invece la possibilità di interrompere la gravidanza neanche in caso di malformazione del feto. I gravi rischi, inoltre, dovranno essere certificati e motivati da due specialisti diversi dal medico che eseguirà l’interruzione di gravidanza (meglio se un medico e uno psichiatra). Come a dire che, se io volessi fare un’interruzione, dovrei passare sotto le grinfie di uno “strizzacervelli” che certifichi la mia situazione (nonché la mia sanità mentale) e dichiari che  sussistono ragioni effettivamente valide. Insomma un progetto di legge, questo, che in qualche modo designa noi donne alla stregua di esseri incapaci di intendere e di volere, o poco più, consegnandoci nelle mani di medici e psichiatri, ai quali, invece, sembra voler conferire ulteriore potere (come se non ne avessero già abbastanza e come se tutti i medici e tutti gli psichiatri fossero davvero corretti e competenti). Una legge, insomma che, invece di considerarci individui adulti e responsabili in grado di fare una scelta ponderata e matura, relega noi donne adulte alla stregua di superficiali adolescenti che devono chiedere il benestare di papà o comunque di un adulto più competente e in qualche modo credibile. Come se poi, nei paesi come il nostro, in cui l’aborto è legalizzato, fosse facile decidere di interrompere una gravidanza e trovare un medico disposto ad intervenire in questo senso, visto che più dell’80 per cento di loro pratica l’obiezione di coscienza. Di recente sono stata ad Istanbul. E le ragazze, anche molto giovani, sono tornate a coprirsi il capo quando girano per strada, anche solo con un foulard, cosa che fino a qualche anno fa non facevano più. Cosa c’entra questo, direte voi. C’entra eccome perché, senza andare tanto lontano, anche qui da noi, in fatto di libertà delle donne, stiamo tornando indietro a grandi passi. Siamo diventate, senza alcun dubbio, libere di farci ammazzare, perseguitare o anche solo intimidire da certe forme di prepotenza e controllo maschile che sono, purtroppo in aumento e da troppo poco tempo abbiamo una legge adeguata al riguardo , per essere veramente un deterrente. Di questo passo, verrebbe da chiedersi, se qualcuno non proporrà prossimamente anche un disegno di legge per toglierci il diritto di voto, così faremmo che spiccare un bel balzo indietro, direttamente nel medio evo e non ci penseremmo più su. Accosto questioni apparentemente slegate tra loro perché di fatto non lo sono. Il pensiero che c’è a monte è il medesimo. Il pensiero per cui se una donna vuole essere libera, autonoma e indipendente, non va bene. Deve pagare uno scotto, un prezzo o  essere punita. Una volta veniva tacciata di stregoneria e messa al rogo, adesso viene colpevolizzata o intimidita o perseguitata (nei casi più estremi anche ammazzata) e comunque, in qualche modo controllata. Se non c’è un padre, un marito, un fidanzato, ecco che arriva un medico o uno psichiatra. Una volta le donne che non si comportavano bene e non ubbidivano venivano etichettate come capricciose, isteriche o addirittura pazze (da rinchiudere in manicomio o da segregare in casa), oggi le si “obbliga” a coprire i capelli, a fare i salti mortali (se vogliono fare carriera) almeno il doppio di quanto si richieda ad un uomo e a partorire anche a rischio di mettere al mondo un figlio gravemente handicappato (o almeno a questo si sta mirando), in ogni caso si tenta di chiudere loro la bocca, di colpevolizzarle e di togliere loro sempre più diritti. Parliamo, in primis, di quei diritti che sembravano ormai acquisiti, come  appunto quello della “padronanza” sulla propria vita e sul proprio corpo. Fortunatamente le donne non sono più disposte a tacere. Scendono in piazza e urlano slogan più che sensati e significativi: “La maternità non si impone, si rispetta” e soprattutto “La maternità non si accetta, si sceglie”. Anche perché tornare indietro sull’aborto (la Spagna potrebbe contagiare anche altri paesi europei, sebbene al momento abbia  causato un’ondata di indignazione e proteste), non significherebbe affatto un minor numero di interruzioni di gravidanza. Significherebbe al contrario un aumento di aborti clandestini, molti dei quali metterebbero a rischio la salute e la vita di chi  dovrebbe subirli. Subire un aborto non è mai piacevole e una donna non lo sceglie mai con leggerezza. Ma credo che una legge come quella spagnola, se dovesse passare, spingerebbe molte donne ad abortire clandestinamente, piuttosto che accettare di sottostare ad un’obbedienza forzata da regime dittatoriale, soprattutto in caso di gravi malformazioni del feto. Di buono c’è che, oltre all’ondata di critiche ricevute dall’Europa, la vicenda sta spaccando la maggioranza del governo Rajoy e il passo successivo potrebbe essere aprire un dibattito serio sul disegno di legge in questione. Speriamo bene.

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