Ricorre quest’anno per noi italiani (gli “altri” la cominciarono nel ’14) il centenario della Grande Guerra. Un avvenimento epocale, cinque anni che sconvolsero il mondo, che anche in Italia ha prodotto commenti autorevoli e lodevoli iniziative, in ricordo piuttosto che di celebrazione, bisogna dire.
Il 28° Salone del libro di Torino, ad esempio, ha visto anche proposte dedicate al primo conflitto mondiale: la Presidenza del Consiglio presente con uno stand sulla Grande Guerra; “Fango e gloria” il docufilm di Leonardo Tiberi che Istituto Luce Cinecittà ha presentato al Salone; “La storia della Grande Guerra – Mai più trincee” il concorso letterario riservato ai più giovani, organizzato dal ministero della Difesa in collaborazione con quello dell’Istruzione Università e Ricerca.
La Grande Guerra, per altro, non portò con sé soltanto morte e carestia: rivoluzionò a fondo molti aspetti della vita quotidiana e sociale degli italiani, anticipando tutto il ’900. Oggi, usi a festeggiare altri eventi bellici da cui peraltro uscimmo sconfitti, stupiamo davanti alla differenza tra celebrazione e commemorazione dei caduti al fronte.
Le brevi curiosità che seguono vogliono essere un piccolo tributo alla memoria di tutti quelli che, giovani, “scelsero di non disonorare la Terra che li aveva visti nascere”.
Caporetto e il caffè del mattino
Pochi sanno che a far diventare abitudine nazionale il rito del caffè mattutino concorse la ritirata di Caporetto (Dodicesima battaglia dell’Isonzo, 24 ottobre 1917). Il caffè fino allora era privilegio dei ricchi e la cioccolata calda dell’aristocrazia. Con una circolare del novembre 1917, il Comando Supremo dell’Esercito italiano dispose che, per tenere svegli i nostri soldati contro l’offensiva austriaca, bisognava somministrare loro “circa otto grammi di caffè e dieci di zucchero al dì”, dosi che furono in seguito aumentate fino a 20 grammi.
Maria Dolens, la campana dei caduti
Ancora oggi, a cent’anni da quel tragico evento, realizzata col bronzo dei cannoni offerto dalle nazioni partecipanti al primo conflitto mondiale (suonò il primo rintocco il giorno 4 ottobre 1925, alla presenza del Re Vittorio Emanuele III) con cento rintocchi a Rovereto ogni sera fa udire la sua voce Maria Dolens, la Campana dei Caduti, voluta dal sacerdote roveretano don Antonio Rossaro all’indomani della Grande Guerra come simbolo di condanna del conflitto, di pacificazione delle coscienze, di fratellanza fra gli uomini, di solidarietà fra i popoli.
4 novembre. “Firmato Diaz”
“I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”. Finiva con queste parole il “bollettino di vittoria” del 4 novembre 1918, firmato dal capo supremo dell’Esercito italiano, generale Armando Diaz. Bollettino che ancora nei primi anni Cinquanta non era raro ritrovare appeso alle pareti delle scuole elementari della Repubblica e il cui testo, fuso nel bronzo delle artiglierie catturate al nemico, è ancora adesso esposto in tutte le caserme e i municipi d’Italia.
Fiandra e papaveri rossi
La fiandra, si sa, è un pregiato tessuto operato, monocolore e di “mano asciutta”, che presenta decorazioni tessute, con effetto di lucido-opaco. Il nome viene dalla regione delle Fiandre dove storicamente era prodotto con il ‘lino di fiandra. La lavorazione complessa unita al materiale pregiato ne faceva un prodotto di lusso esportato in tutta Europa.
I papaveri rossi. Non è certo un caso che questi fiori di campo si ritrovino in tante canzoni contro la guerra. Tradizionalmente, nel mondo anglosassone, essi sono dedicati alla memoria delle vittime sui campi di battaglia della prima e della seconda guerra mondiale: in Gran Bretagna, nell’ “Armistice Day”, tutti portano un papavero rosso all’occhiello. La cosa sembra risalire a una poesia di John McCrae (1872-1918), medico militare canadese spentosi in un ospedale da campo, poi divenuta una canzone con la musica di Luc Wynants, Nei campi di Fiandra (Flanders Fields): “e se non ci ricorderete, noi che moriamo, /non dormiremo anche se i papaveri/cresceranno sui campi di Fiandra”.