Si legge in Dammi mille baci, un libro di qualche anno fa di Eva Canterella (Feltrinelli 2009). Come s’indovina dal titolo, che cita un celebre verso di Catullo alla sua donna (da mi basia mille, deinde centum,/ dein mille altera…), argomento del libro sono i rapporti fra uomini e donne (e fra uomini e uomini) nell’Antica Roma. Contiene molte cose interessanti, che pochi conoscono.
E soprattutto considerazioni illuminanti sul nostro retaggio di Italiani.
Ad esempio questa. Sorgeva a Roma sul Palatino un santuario intitolato al dio Aius Locutus, un nome che significava pressappoco Aius che parla, o anche Il parlante che parla. Questo dio si manifestò una sola volta nella storia romana, cioè quando nel 390 a.C. avvertì i Romani dell’imminente attacco del Galli. Non fu creduto. Solo dopo, quando i Galli se ne furono andati (ricordate? messi in fuga, per così dire, dalle famose oche del Campidoglio), ai Romani tornò in mente la parola del dio e in suo onore edificarono il tempio per ricordarsi in futuro di dare ascolto agli avvertimenti.
Sempre a Roma c’era un’altra storia, quella di Tacita Muta. Tacita Muta, che in origine si chiamava Lara, era una ninfa e aveva una sorella, Giuturna. Accadde che Giove, che non diversamente dal suo enarmonico greco Zeus spesso e volentieri si faceva condurre dal phallos, s’incapricciasse di Giuturna e contasse di possederla. Lara lo venne a sapere e avvertì la sorella mandando in fumo i maneggi del dio. Il quale, furibondo, si vendicò strappando a Lara la lingua in modo che non potesse mai più parlare. Tacita e muta, appunto.
La morale della doppia storia era la seguente: l’uomo, quando parla, lo si deve ascoltare. La donna invece, almeno nelle faccende serie, conviene che taccia.
Dagli antichi Romani abbiamo ereditato molte cose: la civiltà giuridica, i dialetti romanzi, le strade selciate, la vita in piazza ecc. ecc. Ma anche cose che non sappiamo o non vogliamo sapere. Che questa sia fra quelle?