Chi l’avrebbe detto che, in un paese come il nostro (in cui i figli sono “piezz e core” e dove “ogni scarrafone è bello a mamma sua”), sarebbero potute apparire scritte come: “In questo hotel si accettano cani ma non bambini”. E invece anche qui, in Italia – il paese del “mammismo”per eccellenza- si sta diffondendo la tendenza statunitense dei locali “No kids”: hotel, ristoranti, voli aerei etc.
I bambini d’altronde strillano, piangono e giocano sovente in modo rumoroso, per tanto è bene, per gli adulti, poter godere, almeno occasionalmente, di oasi in cui la prole non sia ammessa. Oasi in cui genitori stanchi e stressati possano staccare la spina e riprendersi, magari recuperando sonno arretrato e spazi di silenzio anche solo per leggere un libro o un giornale in santa pace e tirare un respiro di sollievo.
Non è solo il bisogno di staccare la spina, però, a motivare i gestori che scelgono questa formula. C’è anche il rispetto per chi sceglie di non avere prole ma che finisce però quasi sempre per doversi sorbire quella degli altri.
In più c’è il discorso dell’educazione. Finchè parliamo di bambini educati e autonomi, che non si lagnano x qualsiasi minima cosa, passi, ma sappiamo bene che non è poi così difficile imbattersi invece nei capricci e nelle urla di certa prole super-viziata, cresciuta magari a latte e isterie genitoriali.
Sono parecchi, infatti, i genitori che educano i propri figli più o meno come il Pierino della barzelletta che, mentre gioca sulla spiaggia, prende a palettate in testa il bimbo dei vicini e viene redarguito solo perché potrebbe sporcare di sangue la paletta stessa…
Alcuni, in situazioni analoghe, non interverrebbero nemmeno in difesa della paletta, lascerebbero semplicemente fare, chiudendo un occhio (se non due) o voltandosi dall’altra parte.
Intervenire, arginare e spiegare i comportamenti corretti ai propri figli, talvolta è faticoso, soprattutto se si devono poi sopportare eventuali loro rimostranze, musi lunghi o ricatti affettivi.
Senza contare poi il fatto che, purtroppo, esistono anche genitori che ritengono sia un bene avere un figlio che picchia piuttosto che uno che “se le prende” dai compagni, soprattutto se è maschio perché in fondo l’aggressività è ancora considerata segno di virilità e prerogativa di mascolinità. Anzi ci sono padri che insegnano e incoraggiano i propri figli ad essere aggressivi e prevaricatori anche solo con il loro stesso esempio.
Probabilmente sono gli stessi che poi vanno a lamentarsi – se non addirittura a minacciare – gli insegnanti perché questi si permettono di redarguire i loro figli o di insegnargli tolleranza e comportamenti civili.
Quanti sono gli insegnanti che si lamentano di simili genitori? Io negli anni ne ho intervistati parecchi.
Ma, educazione a parte, è sacrosanto che in alcuni luoghi si possa contare sulla quiete assoluta. Soprattutto in strutture come ad esempio quelle termali dove ci si reca per rigenerarsi, ricaricare le pile o magari riprendersi da qualche malanno o infortunio.
E poi va detto che i figli sono una gran bella cosa ma, anche quando sono adorabili (e anche se sono appunto “piezz e core”), riescono comunque talvolta ad essere faticosi. E forse stiamo finalmente tornando ad ammetterlo, visto che, molti genitori stanno tornando – potendo permetterselo – a fare ricorso alle baby sitter, tanto per concedere anche un po’ di tregua a nonni e zii di turno.
Anche le povere mamme poi, avrebbero diritto ogni tanto a tirare un respiro di sollievo. Soprattutto in una società come la nostra che le vorrebbe sempre perfettamente efficienti, in forma e capaci di risolvere ogni problema.
Basti pensare al successo di un film come Bad Moms, in cui la protagonista si presenta, almeno inizialmente, come la classica mamma perfetta, che pensa a tutto, ma che è anche costantemente sull’orlo di una crisi di nervi, con un livello di stress che probabilmente potrebbe rischiare di ucciderla da un momento all’altro, o almeno di farla esplodere. Anche perché nonostante i salti mortali per gestire al meglio figli, marito, casa, carriera, forma fisica e quant’altro, si sente continuamente dire “Dovresti impegnarti di più”. Non è così difficile d’altronde finire nel classico circolo vizioso in cui si comincia a dare un mignolo per vedersi poi chiedere prima la mano e poi l’intero braccio. Se si è sempre disposti a dare, gli altri, con l’andare del tempo, si adagiano e si abituano a chiedere sempre di più, soprattutto se si parla di figli che non sono stati abituati a cavarsela da soli.
Dopo essere entrata in un circolo vizioso di questo genere, volendo soddisfare sempre le aspettative familiari e sociali, – ma dimenticandosi quasi totalmente delle proprie – la protagonista, ad un certo punto, decide però di ribellarsi e di diventare una “mamma cattiva”: una mamma che non prepara più la colazione ai figli la mattina, non fa più le ricerche di scienze al loro posto e non asseconda più le richieste della scuola di portare dolci fatti in casa per raccogliere fondi su qualsiasi iniziativa immaginabile e possibile.
Va detto che il film è ambientato negli States, dove, le scuole, richiedono alle mamme di essere super-disponibili, super-partecipative e praticamente “spalmate” sulle migliaia di riunioni genitori-insegnanti e sulle attività da svolgere con i loro figli etc.
Ad ogni modo alla fine la narrazione si capovolge. Restiamo sorpresi dal fatto che la protagonista, smettendo di essere super accudente – quasi servile – ha in realtà, così facendo, aiutato i propri figli a crescere molto meglio, inducendoli appunto a cavarsela da soli. Scopriamo dunque che nel frattempo il ragazzino più piccolo ha imparato a cucinare e la figlia adolescente a gestire l’ansia da prestazioni sportive.
D’altronde è quello che dicono anche gli psicologi (per lo meno alle mamme che si ritrovano con prole tardo adolescenziale – se non quasi adulta – sfaccendata e irriconoscente), e cioè che i figli fanno esattamente ciò che gli viene concesso di fare. Dire no oppure basta ad un figlio capriccioso non è solo un diritto del genitore ma anche un dovere. Molte madri purtroppo educano i figli in modo ambivalente: li viziano, rendendoli dipendenti, perché convinte di poterli controllare meglio: è uno degli aspetti della sindrome del genitore elicottero. L’altra è quella relativa alla competitività. Genitori che tengono il fiato sul collo ai figli affinché diano sempre il meglio in qualunque prestazione, sia scolastica sia agonistica etc.
I genitori elicottero, infatti, sono quelli che incoraggiano i bambini ad impegnarsi sempre al massimo, che li controllano costantemente, che nel pomeriggio, dopo aver svolto con loro i compiti scolastici, li accompagnano a mille corsi, perché desiderano vederli primeggiare a scuola, nello sport, nello studio delle lingue, della musica e in molte altre attività, nutrendo l‘illusione di garantire loro un futuro eccezionale e di aiutarli a diventare un giorno delle persone importanti e affermate. E’ un modo per proiettare sui ragazzi i sogni e i desideri che tante mamme e che tanti papà non sono riusciti a realizzare per loro stessi, ma tutta questa apprensione è in realtà molto negativa, soprattutto per i bimbi, i quali potrebbero sentirsi oppressi e vivere nella costante paura di deludere le aspettative dei genitori.
Dunque se da una parte abbiamo i genitori che viziano troppo i loro figli rischiando di crescere degli inetti pusillanimi, dall’altra abbiamo quelli che li spingono a fare troppe cose e troppo al di sopra delle loro possibilità. Trovare una via di mezzo non è così semplice ma per citare un altro film di questa stagione, e cioè “La famiglia Fang”: “Se avrete bambini, li danneggerete. E’ quel che fanno i genitori”