STORIA DI SALEHE

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Alla periferia di Antananarivo, in Madagascar, vive Salehe con la sua famiglia.

La loro vita ruota intorno alla coltivazione del riso da generazioni. Da almeno due secoli gli uomini si occupano della preparazione del terreno per la coltivazione del cereale, mentre le donne seminano, sarchiano e raccolgono.

Il prodotto viene distribuito al grande mercato di Antananarivo e ad alcuni esportatori che però pagano poco e con lunghe attese.

 Salehe ha un grande sogno. Vuole viaggiare e diventare famoso. Qualcuno gli ha messo in testa che al mondo non esiste nessuno che suona il tamburo come lo suona lui, e lui ci crede.

In effetti è molto dotato, ha nelle mani la velocità, la potenza e la furia di un uragano è ha un ritmo fuori dal comune. Dagli in mano un barattolo due rami strappati ad un albero e una pentola e in tre minuti ti crea un concerto da restare a bocca aperta.

Suona ogni oggetto capace di produrre un suono con un suo senso della scansione ritmica rigoroso e puntuale.

Quando aveva undici anni vendette uno zebù di legno che aveva intagliato lui stesso per due euro e un cd dei Police. Fu per curiosità che Salehe accettò lo scambio.

Steward Copeland, il batterista del complesso, più di tutto colpì la sua attenzione.

Una mattina dopo avere imparato a memoria ogni nota di Message in a bottle, decise che da grande avrebbe preso un aereo e sarebbe andato da Steward per proporgli di suonare insieme.

Sa ogni cosa di lui. Colleziona foto ritagliate dai giornali che i turisti lasciano all’aeroporto: “non hai idea dei tesori che gettano nei cestini o dimenticano sulle panchine”.

Salehe inoltre suona in una rock band, in un locale della città, la sera del sabato; ha un pubblico di fans che lo adora. Conosce ogni pezzo di Charlie Morgan e Ray Cooper, imita alla perfezione il ritmo di Mino Cinelu e Philippe Teboul, detto Garbancito.

Il suo sorriso è pulito e sereno. Salehe suona e sogna una porta che si apra sul mondo.

Da lì uscirà in cerca di successo e denaro. Sono troppi anni che sente la sua famiglia lamentare la povertà e la fame. Lui diventerà ricco e famoso e salverà tutti quanti, è solo questione di tempo.

Ci sono persone che nascono per cambiare il destino, lui è una di queste, e lo sa bene suo padre che non riesce a farlo lavorare come gli altri figli. Salehe vuole studiare l’inglese, per andare negli Stai Uniti. Già, perché è lì che vuole andare, “lì se parli francese non ti danno retta” e lui deve imparare.

Con i turisti che frequentano il locale parla in inglese per esercitarsi e a tutti lascia un biglietto con il suo nome, perché si ricordino di lui quando sarà un musicista importante. Da parte ha già trecentoventuno euro, una vera fortuna. Sono nascosti in un buco dentro il materasso. Sono arrotolati stretti e legati con lo spago. Sono avvolti in un calzino nascosti per bene. Nessuno lo sa.

E’ per accontentare il padre (per dimostrargli che non è uno scansafatiche come dice lui), che la mattina del 7 febbraio 2009 scende in piazza a manifestare davanti al Palazzo degli uffici presidenziali. Da mesi l’ex sindaco uscente Rajoelina incita alla radio manifestazioni di protesta contro il presidente Marc Ravalomanana, accusato di comportamenti dittatoriali.

Ravalomanana, che ha fatto del Madagascar un paradiso per i turisti, nega le accuse, ovviamente, ma intanto il Madagascar ha aperto il mercato alle compagnie straniere che stanno investendo in petrolio, oro cobalto, nickel ed uranio, sfruttando i terreni ed i raccolti per la produzione di biocarburanti.

I manifestanti sono migliaia e sono disarmati, stanchi e disperati. Il rischio è quello di vedersi sottrarre terre e beni: “Gli stranieri arrivano e ti portano via tutto. Non sei nemmeno più padrone della terra su cui cammini”.

Uno sbarramento, rappresentato da una catena, impedisce loro di avvicinarsi.

Poi gli animi si scaldando, e vai a sapere cosa succede, senza un cenno di avvertimento, senza che vengano lanciati fumogeni per disperdere la folla in protesta, succede qualcosa, qualcosa di impercettibile che scatena la follia: la guardia presidenziale spara ad altezza uomo e cadono a terra morte venticinque persone. Chi dirà trenta, chi di più, quasi tutti ragazzi.

E’ una strage.

Salehe è lì, in mezzo a loro, steso a terra.

Sente il tamburo del suo cuore battere più forte senza capire perché. Lui di politica non ne sa nulla, lui sa solo suonare; sogna un aereo che lo porti in America.

Tutti gli dicono che è il posto giusto dove realizzare i sogni. Il tamburo perde qualche nota e Salehe con gli occhi aperti sul cielo cerca di staccare la mente dal frastuono che gli rimbomba attorno.

Gente che scappa, ferita, spaventata, incredula. Chi urla, chi piange e soffoca il dolore fra le lacrime. E’ orrore quello che si vive, l’orrore comune ad ogni guerra.

Salehe è a terra. Dicono che quando muori rivedi tutta la tua vita come in un film ad alta velocità; sarà ma a Salehe la morte non ha riservato nessuno spettacolo. Nessuno gli aveva detto che morire è così freddo. Succede tutto in fretta, non hai tempo di sentire dolore né di pregare, ti resta solo il tempo di guardare il cielo e poi tutto si ferma.

Il suo tamburo non canta più. Salehe muore con il cielo stampato negli occhi, come migliaia di altri ragazzi della sua età. Lui che a morire non ci aveva mai pensato. Muore per un pugno di riso, per la sua famiglia, perché a suo padre non vengano tolte le terre.

Vaglielo a raccontare a sua madre che è morto da eroe, e poi vieni a dirmi cosa ti ha detto.

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Foto di Caterina Civallero

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