A conclusione del Festival dedicato a Vivaldi che si è svolto a Torino nel mese di aprile e di analoghe iniziative dedicate al compositore veneziano, ancora in corso, farei qualche considerazione o almeno un po’ di chiarezza.
Quando sono andata a sentire uno dei primi concerti in programma, infatti, alcune persone che erano con me si chiedevano “ma che ci azzecca Vivaldi (notoriamente veneziano) con Torino? Perché nel capoluogo piemontese sono conservati così tanti suoi manoscritti? Aveva per caso trascorso qualche tempo nella città sabauda e in quel periodo, magari, anche composto delle opere o per lo meno dei brani?
Qualcosa più o meno mi ricordavo: ad esempio non mi risultava che Vivaldi avesse vissuto a Torino, ma per ricostruire i nessi e le vicende del caso, sono andata a documentarmi e questo è il risultato.
Il Fondo Vivaldi consta di 27 tomi manoscritti comprendenti concerti e altra musica strumentale, opere teatrali, serenate e cantate profane e musiche sacre, in gran parte destinate (ad eccezione delle opere teatrali) all’Ospedale della Pietà dove Vivaldi svolgeva la sua attività a Venezia.
Si tratta nella stragrande maggioranza di autografi, vale a dire di stesure in partitura vergate da Vivaldi stesso in attesa di essere copiate per l’esecuzione (dalle copiste dell’Ospedale) in parti separate (quelle che stanno sul leggìo di ciascun interprete). In altre parole era l’archivio delle proprie musiche che Vivaldi teneva in casa sua.
La storia del Fondo inizia nella primavera del 1740 quando Vivaldi, probabilmente per mettere insieme la somma necessaria per il suo trasferimento a Vienna (dove morirà in circostanze misteriose un anno dopo), vendette tutte il suo archivio manoscritto al nobile Jacopo Soranzo ( 1686-1761), famelico collezionista veneziano di codici, libri rari e monete.
Alla morte di Soranzo la sua enorme biblioteca (custodita nell’omonimo palazzo, in San Polo (dove D’Annunzio dovrà ambientare la vicenda de ‘Il fuoco’) fu divisa fra gli eredi, ma la parte musicale fu acquisita dal conte Giacomo Durazzo (1717-1794), già ambasciatore di Genova a Vienna, poi consigliere di Stato sovrintendete degli spettacoli teatrali della corte imperiale, e dal 1764 al 1784 ambasciatore imperiale a Venezia (fra parentesi, anche il Durazzo era un bulimico collezionista: a lui si deve, per es., il nucleo originario della collezione di disegni e stampe che oggi formano l’Albertina di Vienna, così detta dal duca Albert von Sachsen-Teschen, a cui il Durazzo, fratello in massoneria, la cedette).
Dopo la morte del Durazzo, la sua collezione (incluso il fondo Vivaldi) passò a un ramo collaterale della famiglia, per essere infine divisa fra due pro-pronipoti: Marcello (1842-1922) e Flavio Ignazio (1849-1925). La parte di Marcello (con 14 dei 27 tomi vivaldiani) finì per legato al Collegio salesiano di Borgo San Martino (presso Casale Monferrato), che nel 1926 la mise in vendita. A caldeggiarne l’acquisto da parte dello Stato italiano furono all’epoca Luigi Torri (direttore della Biblioteca Nazionale di Torino) e soprattutto Alberto Gentili, docente di storia della musica dell’Ateneo torinese (dal 1925 al 1938, quando fu allontanato per le leggi razziali).
Poiché né la Biblioteca né il comune di Torino avevano i fondi necessari, l’acquisto della collezione musicale fu possibile grazie a un altro esponente di spicco della comunità ebraica torinese, l’agente di cambio Roberto Foà, che la comprò per donarlo alla Nazionale (1927), a patto di intitolare la Raccolta al nome del figlio Mauro, morto l’anno prima.
La seconda tranche (13 tomi ) del fondo vivaldiano del Durazzo (finita a Genova) fu acquisita, sempre per interessamento di Alberto Gentili, nel 1930, grazie al contributo finanziario dell’industriale laniero torinese Filippo Giordano, che intestò la donazione al nome del figlio Renzo morto prematuramente.
In soldoni: sebbene le musiche vivaldiane non abbiano storicamente nessun rapporto con Torino, l’intero corpus autografo di Vivaldi fu ricomposto a nel capoluogo piemontese fra il 1927 re il 1930 grazie ai legami piemontesi della famiglia Durazzo e soprattutto alla lungimiranza di Albero Gentili.
nell’immagine, una veduta di Torino – parco del Valentino