Da rubricista della lingua su questo network, vorrei segnalare all’attenzione dei lettori interessati alla materia, un libro: «Storia illustrata della lingua italiana» (Carocci editore, 160 pagine, 24 euro). Gli autori sono Luca Serianni e Lucilla Pozzoli, stimati linguisti e accademici. Il loro progetto è davvero insolito, raccontare con le immagini la nascita e l’evoluzione della nostra lingua dal 960 al modo d’esprimersi della televisione, delle mail e dei social.
Scrive l’editore nella presentazione on-line: “La lingua italiana ha una storia lunga molti secoli. Ha vissuto e vive tuttora nei pensieri e nelle parole di milioni di persone in Italia e nel mondo, prestandosi duttilmente, ma senza perdere la propria natura, a usi pratici e quotidiani, alle specializzazioni professionali e a monumenti letterari e artistici di impareggiabile bellezza.
Questo libro intende accompagnare il lettore non specialista in un viaggio che renda visibili, attraverso un ricco corredo di immagini, le mille voci e i mille volti di coloro che nel corso del tempo hanno plasmato e poi reso vitale e creativa una delle lingue di cultura più apprezzate al mondo”.
Un percorso da scoprire. Si parte da «Sao ke kelle terre… » del “Placito di Capua” (atto notarile del 960, appunto) e si conclude con la lingua dei nostri giorni che ha avuto incubatoi straordinari nelle trasmissioni televisive del maestro Manzi che ha alfabetizzato gli italiani, e in quelle di Mike Bongiorno e di Carosello che li hanno linguisticamente riuniti in quella caratteristica della collettività nazionale che è la lingua parlata e scritta. «In effetti la lingua rappresenta un fortissimo elemento di identità, ed è anzi da considerarsi “un bene culturale in sé” (sentenza della Corte costituzionale n. 42 del 21 febbraio 2017)». Un processo unificante e, probabilmente, omologante. Anche se, forse, non ancora completato, visto che, lasciati sui muri cittadini da ignoti writer, si potevano leggere messaggi di questo tenore: «1 settimana senza te muoro»; «Se non ceri t’i avesser dovuta in vendare». Che dire. Abbiamo rimasti in pochi, a parlare l’italiano corretto.