Dopo aver trascorso una nottata quasi del tutto insonne per poter seguire sia gli spogli elettorali, sia la cerimonia degli Óscar (parlo ovviamente della notte tra il 4 e il 5 marzo), sono di fatto un po’ delusa. Forse anche più di un po’. Eviterò però i commenti sullo scenario post elettorale, soprattutto prima di vedere quale coalizione governerà (o tenterà di governare) il nostro paese e mi limiterò a commentare la notte degli Óscar.
Le parole chiave di questa edizione sono state inclusione e parità di diritti.
Ma chi si aspettava, come ipotizzato da molti, che le donne avrebbero avuto più centralità o riconoscimenti, è rimasto assai deluso.
Molti avevano pronosticato, ad esempio, che la giovanissima e talentuosa regista Greta Gerwing avrebbe vinto l’ambita statuetta per la miglior regia con il suo “Lady Bird”. E invece purtroppo non è andata così. Si parla tanto di parità ma poi le registe donne non vengono praticamente mai premiate (Kathryn Bigelow – che è stata la prima donna a vincerne uno nel 2010 – è stata, infatti, un’eccezione).
Il riconoscimento alla miglior regia è andato al messicano Guillermo del Toro per “La Forma dell’acqua” che ha vinto anche come miglior film. Senza dubbio lo sarà (un bel film intendo, io non l’ho ancora visto) ma due riconoscimenti così importanti allo stesso lungometraggio, mi è sembrato davvero un pò troppo, soprattutto considerando il fatto che le opere interessanti, quest’anno, erano davvero molte.
Il concetto di inclusione per lo meno è stato rispettato visto che Guillermo del Toro è un immigrato e che anche il suo film parla di accettazione della diversità (la protagonista femminile è sordomuta e quello maschile è una creatura fantastica a metà tra un uomo e un anfibio). Poi ci sono stati i riconoscimenti allo sceneggiatore afro-americano Jiordan Peele per “Get Out” e al cileno Sebastian Lelio come miglior film straniero per “A fantastic woman”, interpretato dall’attrice transgender Daniela Vega (forse la prima trasgender che sia salita sul palco degli Oscar).
E’ comprensibile che i messaggi politically correct in questo momento storico, negli Stati uniti, siano di prioritaria importanza, ma non trovo giusto comunque che, per questo motivo, siano stati penalizzati capolavori come “L’ora più buia” di Joe Wright (che per lo meno ha consentito a Gary Oldman di portarsi a casa la statuetta come miglior attore protagonista nei panni del grande Wiston Churchill ) e “Chiamami con il tuo nome” di Luca Guadagnino che si è aggiudicato solo il riconoscimento come miglior sceneggiatura non originale a James Ivory.
Per quanto riguarda le donne, alla fine, un po’ di spazio è stato dato ai movimenti Time’s Up e #MeToo (nel senso che sono giusto stati citati) e il presentatore, in apertura di serata si è lanciato in qualche battutta elogiativa sulla statuetta che rappresenta l’Oscar dicendo che raffigurerebbe l’uomo ideale in quanto le sue mani sono posizionate in modo da essere ben in vista… poi un giusto un veloce accenno all’allontanamento di Harvey Weinstein dall’Academy … e stop.
Fortunatamente le attrici candidate, hanno fatto da contraltare…
Tutte donne di grande forza e carisma che hanno scelto di interpretare personaggi femminili fuori dagli schemi e caratterizzate da coraggio e determinazione: dalla Mildred Hayes di “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” (alias Frances Mc Dormand, che ha più che meritatamente vinto come migliore attrice protagonista), alla Katherine Graham di “The Post” ovvero Maryl Streep in un’altra delle sue eccezionali performance attoriali…giusto così, per citare un paio esempi.