Parto da due notizie, di recente diffusione, apparentemente senza nesso.
La prima riguarda i minori e gli adolescenti che, sempre più spesso approdano nei pronto soccorso di tutt’Italia, in preda a disturbi cognitivi, iperattività e stati confusionali. Una delle concause di tale fenomeno sembra sia l’eccesso di bombardamento mediatico e /o tecnologico.
la seconda riguarda, invece, l’aumento vertiginoso, in Italia, del problema dell’antibiotico-resistenza. Sarebbe a dire, in parole povere, che usiamo talmente tanti antibiotici per qualsiasi minimo problema (come l’influenza) che i batteri diventano sempre più resistenti ai suddetti e quindi sempre più letali.
Ogni anno, infatti, 33.000 persone, prevalentemente anziani, muoiono nella civilissima Europea a causa di infezioni causate da batteri resistenti agli antibiotici. Un terzo dei decessi si verifica in Italia. I dati arrivano da uno studio del Centro Europeo per il Controllo delle Malattie (Ecdc), che ha rilevato anche come nel nostro paese la probabilità di contrarre infezioni durante un ricovero ospedaliero è del 6%, con 530.000 casi ogni anno. Così l’Italia si posiziona all’ultimo posto in Europa, come Paese più colpito da infezioni ospedaliere. Il motivo? L’aumento dei pazienti più “fragili”, con un’età superiore ai 65 anni, l’utilizzo di sistemi sempre più invasivi per l’organismo umano come cateteri o endoscopi che costituiscono veicoli di batteri, ma soprattutto la scarsa adozione di strategie di prevenzione.
Ciononostante sembra che la maggior parte degli occidentali (e soprattutto degli italiani), sia convinta di vivere nell’era delle “soluzioni facili” e prive di conseguenze. Pubblicità e media ci dicono continuamente che possiamo avere tutto ciò che vogliamo, quando lo vogliamo e come lo vogliamo, senza conseguenze. Ci convincono inoltre che qualsiasi cosa si possa risolvere in tempi brevissimi. E’ sufficiente avere una carta di credito e affidarsi all’ausilio di tecnologie, novità scientifiche, medicine etc…
Certo tutto ciò è rassicurante e comodo. A tal punto che solo un’esigua minoranza si documenta davvero, quando deve prendere una decisione, su quali possano essere le conseguenze delle proprie scelte o gli eventuali effetti collaterali di un medicinale di cui, magari, sarebbe meglio non abusare.
Hai l’influenza o l’emicrania ma non vuoi perderti il tal evento? C’è di sicuro il farmaco giusto che ti rimette in piedi in poche ore, così che tu possa ignorare il vero segnale che il corpo ti sta inviando (e cioè che necessita di riposo). Hai il mal di testa e non hai voglia e tempo di andare ad indagarne la causa? Puoi sempre imbottirti di antidolorifici e farti venire subito dopo anche una bella gastrite. Vuoi ingozzarti di patatine fritte e merendine davanti alla tv? Puoi sempre ingollare al contempo pasticche brucia-grassi e anticolesterolo. Peccato che, a lungo andare, una simile facile soluzione potrebbe rivelarsi comunque più letale del non fare nulla e basta, a causa degli effetti collaterali oltre che per la mancanza, ad esempio, di un po’ di sano movimento.
Purtroppo molte persone si limitano ad abusare di medicinali come se fossero caramelle e non dedicano neanche un po’ di tempo a leggere i bugiardini con le relative avvertenze.
E questo comportamento superficiale e/o compulsivo molti lo riversano anche sui figli. Non solo con le medicine ma anche con la tecnologia. Sarebbe responsabilità degli adulti tutelare i figli dalla’esposizione esagerata a tv e tecnologia… giusto solo affinchè questi non arrivino a bruciarsi il cervello prima di aver raggiunto la maggiore età. Certo con uno smartphone o un qualsiasi altro schermo piazzato davanti o sotto il naso, i bambini, ma anche gli adolescenti, stanno più tranquilli, almeno in apparenza. Bisognerebbe però cercare di capire se e quali implicazioni comporti essere esposti a continue sollecitazioni e bombardamenti mediatico/pubblicitari nonché a scenari di violenza pervasivi o efferati.
D’altronde sovente sono anche i consumatori adulti a voler essere sempre più connessi e in modo sempre più veloce, possibilmente anche nei più remoti angoli della terra, al punto che, se solo potessero, con il cellulare, ci farebbero anche il caffè.
Invece i magnati della Silicon Valley e gli ideatori o manager di società informatiche o legate alla telefonia, vietano ai figli l’uso degli smartphone. Sembra addirittura che la nuova ossessione di questi personaggi sia far firmare alle tate dei loro infanti, un contratto in cui, tra le altre cose, c’è anche l’impegno a non tirare mai fuori il proprio cellulare, neanche per pochi minuti al giorno, in modo che il bambino non tocchi e non veda mai questo genere di dispositivi. Nascerebbe da qui, secondo loro, la prevenzione alla dipendenza da internet. Direi che questo comportamento la dice lunga…
In effetti, come dar loro torto? Ormai la telefonia mobile è divenuta una vera e propria schiavitù. Non a caso, ultimamente, stanno girando, nella rete stessa, molte vignette ironiche sull’argomento. “Quando il telefono era legato ad un filo, l’uomo era libero” dice per l’appunto una di queste.
Una volta per fare cose diverse occorrevano strumenti diversi: le foto si facevano con la macchina fotografica, le informazioni si cercavano sull’enciclopedia o in biblioteca e per leggere dovevamo comprarci un libro, una rivista o un quotidiano.
Oggi risolviamo tutto, invece, con uno smarthpone o un tablet che, per carità sono comodi e, teoricamente potrebbero consentirci di fare qualsiasi cosa, standocene comodamente in casa, “indivanati”, con un semplice click seppure con gli occhi lacrimanti o irritati … di fatto non c’è più quasi alcuna attività che si svolga tra le mura domestiche (a parte ovviamente quelle di tipo primario), che non sia legata a tv, social o videogames … soprattutto in un paese come il nostro, in cui, già prima dell’avvento di internet, si leggeva assai poco.
Forse giusto solo gli anziani si salvano magari giocando a carte, o ascoltando la radio o, magari sfogliando una rivista di gossip o un quotidiano.
Ma anche gli adulti più fragili, malati o depressi, si attaccano ai social e finiscono per vivere una vita di amicizie virtuali e di teorie complottiste, magari ingollando anche, nel frattempo, qualche psicofarmaco.
Un fenomeno assai preoccupante è per altro anche quello dei cosiddetti “Hikikomori” che, in giapponese significa “stare in disparte” e che colpisce più adolescenti (anche italiani) di quanto si possa immaginare. La loro vita si svolge interamente in una stanza: la loro camera da letto. Si rifiutano di uscire, di vedere gente e di avere rapporti sociali. I ragazzi che ne vengono colpiti, sono solitamente molto intelligenti ma anche ipersensibili e introversi: leggono, disegnano, dormono, giocano con i videogiochi e navigano in Internet, senza mai uscire di casa per proteggersi dal giudizio del mondo esterno. La causa di tale disagio non si può imputare solo alle nuove tecnologie poiché il fenomeno è ben più complesso. L’hikikomori infatti è più un meccanismo di difesa messo in atto anche come reazione alle eccessive pressioni di realizzazione sociale tipiche delle società capitalistiche più sviluppate, ma certamente può portare, col tempo, a sviluppare anche altre forme di paranoia, come manie di persecuzione e dipendenza da internet.