PUBBLICHIAMO UN ESTRATTO DAL RACCONTO AMAPOLA DI CATERINA CIVALLERO DEDICATO ALL’ARTISTA MARIO RUSSO.
Recentemente Mario Russo (1920-2009) ritorna in vita attraverso la coraggiosa impresa della figlia Mariella Russo che con il sostegno silenzioso ma fermo della madre Antonietta Bosco, moglie dell’artista, decide di riordinare il lavoro svolto dal poliedrico autore.
Con questa impresa titanica prende vita un sogno che ho avuto la fortuna di vedere nascere.
Attraverso un ipotetico spioncino posto sulla porta dell’operoso laboratorio di Mario Russo, alveare fremente che dispensa nettare e dolcezza, Mariella entra in un mondo fantastico e scopre, in punta di piedi, un tesoro di circa 1500 opere, disposte in apparente umano disordine, ma chiaramente catalogate secondo un percorso evolutivo incessante, rebus che solo il tempo potrà risolvere.
A dare un senso a questo tramestio, e permettendo al sussurro che aleggia intorno a opere davvero preziose di prender voce, e consentire loro di accordarsi in un discorso artistico, che forse non è mai stato pronunciato tutto d’un fiato e mai davanti a un pubblico attento, è un minuzioso delicato e accuratissimo lavoro di catalogazione che avviene sotto la preziosa attenzione di Mariella e il sapiente lavoro del curatore Luca Motto.
Il progetto procede da mesi, e ha dato vita, e dignità, a un archivio di inestimabile valore.
La collezione, ancora in via di allestimento e in cerca di adeguate aree per essere esposta, ci permette di ammirare un patrimonio che merita di essere conosciuto, assaporato e apprezzato.
Russo fu pioniere inconsapevole di tecniche espressive davvero intense. Quelle che Mariella definisce le gonfiette, o più amichevolmente i mammocci o mammoccioni, opere in plastica espansa che il tempo non ha danneggiato, rivivono tutt’ora, e ancora, attraverso un loro movimento imprevedibile.
Come un dio davanti alla sua opera di argilla Mario Russo dà origine alla serie definita i Cosmocorpi. La prima di queste opere, e madre di tutte, Tridacna, una specie di mollusco arcaico, amplifica il desiderio di far compiere all’opera stessa un balzo avanti: attraverso questo prender vita inatteso, l’autore desidera stupire, concedere. Mario Russo è affascinato dalla deformità della plastica espansa apparentemente inerte; le sue opere vengono definite “membrane aeriformi vibratili in plastica polivinilica” a cui dà vita e consistenza attraverso il soffio d’aria.
Creatore, e padre contemporaneamente, Mario Russo inventa uno strumento magico che ci svela senza maschere il vero motus che firma ogni sua opera. La creazione e la trasformazione. Coesistenza continua di momenti di vita e del vivere.
Più di cinquant’anni di attività vedono un’artista solitario impegnato a dipingere e scolpire i materiali più diversi: dalla tela al legno, fra la plastica e l’acciaio Russo ha dipinto e scolpito creato e costruito utilizzando numerose tecniche, in un susseguirsi di periodi rivolti all’arte figurativa, poi astratta, o mescolando più tecniche fra di loro.
Coesistenza. Mi risuona questo termine e con questo eco nel cuore descrivo a tratti un Mario Russo che conosco solo attraverso le sue opere e il racconto che Mariella mi fa di lui, e anche se ho sentito dire che è un autore non storicizzato, poiché poco avvezzo a scendere a compromessi pur di esporre e vendere le sue opere, mi riconosco in quel suo essere libero da schemi incanti e regole, in quel suo essere artista che senza mai perdere di vista il tridimensionale inseguimento della realtà, dedica allo studio della forma, e la destrutturazione di essa, un’energia senza sosta.
La ricerca lo consumava nel profondo. Lui stesso spesso diceva e raccontava: ‘Mi sono consumato’. ‘Ho dato il mio flusso vitale alle mie opere, all’arte”.
Il fisiologico movimento alchemico della creazione, si sa, passa attraverso i quattro movimenti del cosmo: ‘eccitazione espansione contrazione rilassamento’. Al culmine di ognuna di queste fasi Mario Russo esprimeva lati del proprio carattere, ed estro, profondamente diseguali dai momenti generatori. Nell’apice della creazione delle sue opere si elevava a un piano dell’essere irraggiungibile e fantastico a cui seguiva, per compensazione, un momento di appiattimento artistico risanatore.
La sua vita artistica, strettamente legata a quella familiare, fu spesa alla ricerca di un equilibrio grafico emotivo stabile in grado di sopperire all’aspetto pratico della vita e alla valorizzazione della sua credibilità di uomo.
Mario Russo amava il linguaggio plastico, e nelle evocazioni di stile, accarezzava opere di metallo, ammanierate figurazioni in un duello fra la realtà e astrazione, in movimento, all’inseguimento fra il surreale il profetico, il visionario e le meditazioni mirabolanti. Vere e proprie visioni, che con frammenti, immagini, fotogrammi si affaccendano instancabili fra gli anfratti della mente e il tabernacolo dello spirito le sue creazioni si offrono, ancor oggi, al pubblico con energia e godimento.
Ogni tecnica è portatrice di immagini e frammenti che descrivono più lati del suo poliedrico irrequieto carattere, una vera e propria dimostrazione di abilità per portare in luce tutte le forme di emozione contenute nella sua anima. L’arte, e qui mi soffermo a citare una frase del famoso storico d’arte austriaco naturalizzato britannico Ernst Gombrich che recita: “Non esiste in realtà una cosa chiamata arte, esistono solo gli artisti” diviene quasi un pretesto per esprimere tutte le sue personalità e le epoche in cui esse si trasformano fondendosi una nell’altra. Esse si caratterizzano di gesti e movimenti che danzano intorno alla sua firma, traccia mutevole di rinascita e rigenerazione atemporale.
Russo trasforma la durezza dell’acciaio in armonica morbidezza, esprime attraverso liturgie estetiche un ripetersi di nascite e gestazioni: ventri morbidi sorretti da fianchi sferici e perfetti sostengono la figura della madre e della donna, dea della vita che si muove fra misticismo ed erotismo.
Levigatissime tele o tavolette di legno con archi e cerchi, ospitano ripetizioni infinte di schizzi sabbiosi e densi per arrivare a intrappolare un pensiero ricorrente: il morboso impegno di voler costruire un luogo sacro in cui racchiudervi l’utero di una madre prolifica, una miriade di dialoghi intensi e contigui, narrati con ogni forza a disposizione fra sussurri e prepotenze. Fusioni artistiche imprevedibili, esasperazioni estetiche tese a festeggiare e santificare un pensiero profondo, segno di forza e di antico e immortale amore materno.
Mario Russo addomestica, con energiche battiture, uno dei materiali più resistenti: le sue lastre di acciaio si accartocciano come gelati sciolti al sole. Si resta storditi di fronte a tanta bellezza.
L’Archivio Mario Russo Torino conserva l’intero corpus dei dipinti, disegni e sculture prodotte e la documentazione relativa all’opera, e alla vita, dell’artista che operò in principalmente in ambiente torinese e a livello nazionale e internazionale. L’archivio rappresenta uno strumento di ricostruzione documentaria, filologica e storica delle sue opere, e ne promuove la valorizzazione.
Per chi ama le iniziative storiche segnalo il pionieristico sito creato dall’autore stesso negli anni ’80: mariorusso.net. Le immagini sono un pochino sgranate ma sono le immagini originali dell’epoca caricate da Mario Russo.
Nell’immagine di copertina, un’opera dell’Artista