“Chiunque può arrabbiarsi: questo è facile; ma arrabbiarsi con la persona giusta, nel grado giusto, al momento giusto e per il giusto scopo: questo non è nelle possibilità di chiunque”.
Cito questa massima di Aristotele perché, a mio avviso, è tra le più azzeccate, per descrivere il momento storico in cui viviamo. Basta scorrere i titoli della cronaca, d’altronde, per leggere, pressoché continuamente, di persone che, dopo aver, presumibilmente, accumulato arrabbiature, esplodono di colpo prendendosela con il malcapitato di turno: il tizio che spara al vicino di casa perché questi ha fatto un po’ di rumore, ad esempio o quello che scatena una rissa, allo stadio, perché il tifoso della squadra avversaria si è permesso un commento di troppo, per non parlare del genitore che se la prende con l’insegnante del figlio perché quest’ultimo si è beccato un brutto voto o ancora del marito che, arrivato a casa dal lavoro, malmena la consorte o i figli, perché stressato dal capoufficio o dai colleghi.
Ogni giorno si legge di qualche aggressore che, probabilmente esasperato da questioni sue personali, decide, con un pretesto qualsiasi, di aggredire fisicamente o verbalmente, chiunque gli capiti sotto mano. Verrebbe da pensare che forse la soglia collettiva della sopportazione nei confronti delle frustrazioni, si sia notevolmente abbassata e che sia più facile quindi perdere le staffe, o forse, da decenni è venuta a mancare un’educazione minima sui concetti basilari di cosa sia la civiltà. Una persona civile, per definirsi tale, dovrebbe, infatti, sapersi fare le proprie ragioni, senza ricorrere alla violenza, anche quando sia stato realmente provocato.
Parlo ovviamente anche della violenza verbale che, anzi, sempre più spesso, viene esibita e scambiata per capacità di farsi ascoltare, soprattutto nei programmi televisivi. Ora, capisco che i contraddittori civili e pacati probabilmente facciano meno audiance rispetto alle liti e agli strepiti (che spesso sono anche studiati appositamente a tavolino), ma certo, vista la capacità di emulazione della specie umana, questa scelta stilistica dei palinsesti, di sicuro non giova alla convivenza civile quotidiana.
A tal proposito, avevo già citato, alcuni mesi addietro, il caso del sindaco di Luzzara che, per contenere eventuali comportamenti aggressivi nel suo comune (in provincia di Reggio Emilia), aveva emesso un’”ordinanza anti-cattiveria”, con tanto di sanzioni culturali che prevedevano l’obbligo di leggere un libro, per chi si fosse anche solo permesso di mandare qualcuno a “quel paese”.
Un’idea senz’altro geniale, anche se nessuno si è premurato di prenderla a modello, e di provare a replicarla altrove, forse perché non abbastanza efficace ai meri fini di un ritorno elettorale.
Molto più efficace mi è sembrato, invece, un recente esperimento americano, grazie al quale, a Manhattan, si sarebbero installati, per le vie cittadine, dei sacchi da boxe, addossati ai pali della luce. In effetti, tutto si può dire degli americani, tranne che non siano gente pratica e concreta. L’esperimento, consentirebbe, infatti, ai passanti di scaricare l’eventuale rabbia o frustrazione accumulata nella giornata, prendendo a pugni i suddetti sacchi.
L’idea newyorkese, che è dello studio di design Dtttww, acronimo che sta per dont take this the wrong way, è più interessante rispetto a quella del sindaco di Luzzara poichè In effetti, scaricarsi con due tiri al sacco prima di andare a lavoro o prima di un appuntamento importante, potrebbe essere una buona idea per liberarsi di eventuali energie negative e arrivare più sereni e rilassati alla meta. Inoltre, mentre la prima è di carattere punitivo (un po’ come dire che se ti arrabbi sei cattivo), la seconda è molto più costruttiva. Il messaggio che passa è, infatti, di tutt’altro genere e cioè: se ti arrabbi non sei né buono, né cattivo, sei solo umano e per tanto legittimato a sfogarti, purché non a scapito do qualcun’altro.
I sacchi installati, stando alle foto apparse sui media, sono di un bel giallo acceso, onde evitare che possano passare inosservati e, per sventare ogni dubbo sulla loro funzione, gli ideatori vi hanno scritto sopra la spiegazione: “Public Punching Bag, da usare a proprio rischio e pericolo, un posto salutare per sfogare le frustrazioni.
Ovviamente appena sono stati installati hanno creato subito un grande clamore e hanno ricevuto una gran quantità di calci e pugni.
Credo che sarebbe molto interessante vedere cosa succederebbe se li installassero anche nelle nostre città. Sarò pessimista, ma non sono così sicura che qui avrebbero tutto questo successo. Magari inizialmente i passanti sarebbero imbarazzati all’idea di lasciarsi andare ad una manifestazione pubblica della propria rabbia accumulata. Poi non è detto che l’invito a fare una cosa inusuale, non scateni magari proprio la reazione contraria, provocando soltanto una maggiore diffidenza o reticenza.
Forse, con molta più probabilità, finirebbero per essere irreparabilmente danneggiati dopo poco, come quasi qualsiasi servizio pubblico venga offerto ai cittadini, in questo paese. E anche in questo caso, basta far ricorso alla cronaca, che è piena zeppa di notizie su atti vandalici di vario tipo, com’era successo, giusto per citare un esempio, alle bici del bike sharing, che qualcuno, di notte, aveva pensato bene di buttare a fiume.
Sarà perché manchiamo di cultura e sensibilità nei confronti del bene comune o perché al concetto di sfogo, associamo indissolubilmente anche quello di spregio?