Argento riempie il fosso,
colma la vena d’ un dio quasi presente;
terra fredda ovunque
immobile adesso,
mattoni senza casa
seminati in cataste
o scorticati e arsi
ancora incastrati in muri scampati.
Respiro sottovoce
in questa terra non mia
straniero invaghito
di zolle piatte
e ferite in solchi paralleli.
Intorno,
finché vedo,
impercettibili sussulti di terra
sciolta in minuscola polvere,
in miriadi di liquide frasi
su piani punteggiati di silenzio.
Animali di vapore
in gelatina d’ aria rossa
in silenzio del volo
finalmente estinti.
Più sotto
ossa rigide d’ angeli guardiani
come mani spalancate senza pelle
e con loro decine di Medee
nell’ urlo disperato,
immobili scheletri,
aculei neri che tarpano l’ aria
sull’ argine infissi.
Voce del dio che mormora
quasi dentro la terra
sommessa giaculatoria
schiocchìo di baci sospesi.
In mente
geografia di trincee
pronome consumato
memoria che scorre
senza restare:
due passi esatti
la campata del ponte sul dio.
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