PARADOSSI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS: LA FASE DUE

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E così siamo giunti alla tanto agognata fase due, ma l’unica certezza che abbiamo raggiunto, a quanto pare, resta quella secondo la quale lavarsi le mani sia sempre e comunque di fondamentale importanza. Purtroppo questa è anche l’unica cosa che vede tutti d’accordo: medici, virologi e scienziati vari, i quali, stando alle dichiarazioni, hanno molte idee, tutte discordanti e talvolta, anche ben confuse.

Su qualsiasi altra questione che non sia la minuziosa pulizia delle mani, le opinioni degli esperti, infatti, divergono a tal punto da essere spesso più che diametralmente opposte e, insomma, capirci qualcosa è ormai faccenda più che complessa.

Non abbiamo più certezze neanche sull’uso delle mascherine. Prima sembrava dovessero salvarci dal contagio, oggi invece, sembra che siano addirittura dannose.

Proprio ora che siamo tenuti ad indossarle per legge (almeno nei luoghi pubblici), alcuni scienziati e medici sostengono che le mascherine trattengano i microbi all’interno e facciano salire la saturazione di CO2, impedendo una corretta ossigenazione del sangue e, a seguire, anche del cervello.

Non parliamo poi delle opinioni sull’uso dei guanti, o sulle prassi da adottare nei supermercati, o quando si rientra in casa, o quando si vanno a trovare i congiunti … ma poi siamo sicuri che sia chiaro a tutti, cosa si intenda per congiunti?

Dunque, oltre ad aver dovuto gestire ansie e malumori da reclusione, ora ci tocca l’arduo compito di dover sguazzare nella più totale confusione da fase due. Soprattutto per quanto riguarda l’eventualità d’essere contagiati. E questa è forse la cosa più snervante. Alcuni virologi sostengono che il virus si sarebbe già indebolito, e che possiamo cominciare a tirare un respiro (seppur cauto) di sollievo, altri invece, su posizioni diametralmente opposte, ammoniscono di non abbassare affatto la guardia, anzi di aumentare, se possibile, le precauzioni. Ma come si possono aumentare le precauzioni? Andando in giro dentro uno scafandro?

Sarà che dovremo ancora abituarci, ma questa benedetta fase due mi sembra già una situazione ben più destabilizzante, per molti aspetti, di quella precedente. Anche perché, a quanto pare, non possiamo nemmeno più affidarci alla scienza. E questa convinzione, che abbiamo avuto modo di metabolizzare durante la “prigionia” è un bel guaio visto che, nella nostra società, la fede nella scienza (e nella medicina) aveva quasi ormai sostituito quella in Dio.

In questo frangente, purtroppo, anche gli scienziati annaspano, non riuscendo neanche loro a capire e a trasmetterci in modo corretto, quale sia davvero l’entità del pericolo. Gli stessi medici, che senz’altro ringraziamo per la dedizione eroica dimostrata nelle fasi d’emergenza, hanno dimostrato al contempo, rimanendo vittime loro stessi del virus, di avere le idee ben poco chiare, commettendo davvero molti errori che, con un po’ più di avvedutezza o tempismo, probabilmente avrebbero potuto evitare.

Ma le contraddizioni e i paradossi più eclatanti riguardano le teorie dei virologi. Alcuni dei quali pontificano in televisione per poi rimangiarsi le ipotesi fatte in precedenza, ogni qualvolta il virus li sorprenda con qualche andamento anomalo o non previsto, tipo nuovi sintomi o nuove mutazioni. Eppure riescono a polemizzare tra loro anche su quanto il vurus possa essere mutevole.  Secondo alcuni, il virus morirà con l’arrivo del caldo (o comunque si trasformerà in qualcosa di talmente blando da non dovercene più preoccupare), per altri invece ci vorrà qualcosa come una diecina d’anni per tornare alla normalità. Ma anche qui, sul termine normalità,  ci sarebbe da aprire un dibattito a parte oppure, meglio, una discussione. Tanto ormai si discute sulla qualsiasi.

Con il concetto di immunità di gregge si è addirittura rasentato l’assurdo. Per raggiungerla in modo naturale, infatti, bisognerebbe uscire e contagiarci tutti (anziani e immunodepressi esclusi) come ha deciso di fare la Svezia che, da molto criticata inizialmente, ora al contrario, è stata elogiata addirittura sul New York Times, dimostrando, per altro che, la popolazione giovane si infetta e guarisce più o meno come si guarisce da un influenza oppure si immunizza (anche se forse non in modo duraturo). A Stoccolma, dove la densità di abitanti è doppia rispetto a Roma, non è stata prevista alcuna chiusura di aziende o esercizi commerciali e di ristorazione. Ma soprattutto la gente non è stata terrorizzata. Anche la Germania, tanto per citare un altro paese europeo, ha optato per un lockdown piuttosto blando con restrizioni molto lievi rispetto alle nostre, in modo tale che la popolazione giovane si contagiasse a vicenda e sviluppasse appunto l’ambita immunità. O in modo tale che le persone si autoimmunizzassero proprio entrando in contatto con il virus. Già perché c’è anche una scuola di pensiero, tra i medici, che sostiene che sia proprio lo stare a contatto con virus e batteri che rende forte il nostro sistema immunitario e che sia anche meglio autovaccinarsi in un modo naturale, esponendosi appunto al rischio di contagio, piuttosto che indurre l’immunità con i vaccini.

Certo parliamo di scelte intraprese da paesi che non dovevano fare i conti con una sanità così disastrata come la nostra o con situazioni così virulente come quella che si è verificata in Lombardia.

Sembra, a questo punto, che per noi, che siamo stati obbligati agli “arresti domiciliari” stretti, l’immunità possa arrivare solo con il vaccino. Sempre che un vaccino si riesca a mettere a punto, visto che molti virologi dicono che la mutevolezza del virus renderà ardua anche questa strada. In ogni caso, senza voler entrare qui nel merito della validità o meno della metodica, occorrerà aspettare comunque del tempo. Alcuni parlano di almeno un anno perché il vaccino deve essere testato prima su un campione piuttosto ampio di volontari e anche per qualche tempo. In teoria andrebbe testato ancora prima sugli animali ma, vista l’emergenza sembra che questa fase si potrà saltare. Dico sembra perché anche su questo non ci sono notizie chiare se non per gli addetti ai lavori che, ovviamente, anche su questo, stanno discutendo. Perché poi, invece di unire le forze e confrontarsi civilmente, i virologi stiano preferendo farsi la  guerra, è faccenda poco chiara. Forse sentiranno anche loro il bisogno di essere al centro dell’attenzione dei media o forse, come ha fatto notare il Codacons, sarà perché le apparizioni televisive sono molto ben retribuite.

E’ il caso ad esempio della disputa tra il virologo Roberto Burioni e il professor Giuseppe De Donno. Quest’ultimo, primario del Reparto di Pneumologia dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova, sta sperimentando da qualche tempo, il plasma delle persone guarite come anti–Coronavirus. Insieme al San Matteo di Pavia sta lavorando, infatti, ad uno studio che potrebbe permettere di utilizzare il plasma delle persone guarite nella cura del Covid 19 e che finora avrebbe dato risultati sbalorditivi, visto soprattutto che i pazienti trattati con questa metodica sono tutti guariti. Di questo plasma, chiamato plasma iperimmune, ha parlato anche Roberto Burioni, in un video in cui avrebbe spiegato anche le controindicazioni esistenti nel percorrere questa strada. Le parole del noto virologo hanno ovviamente scatenato la reazione di De Donno e la faccenda si è trasformata nell’ennesimo scontro sui social.

Ma cerchiamo un momento di capire come funziona la terapia con il plasma iperimmune. In pratica si sfruttano gli anticorpi che le persone guarite hanno sviluppato contro il Coronavirus e lo si inietta nei pazienti malati, che così dovrebbero avere un aiuto in più per sconfiggere il Covid-19, senza per altro che vi sia alcun rischio di trasmissione di altre malattie infettive, poiché l’AVIS, che sostiene l’iniziativa, si occupa rigorosamente dei controlli in tal senso, al punto tale che, ora la metodica in questione è approdata anche in altri ospedali come quelli di Bolzano e Verona. De Donno è stato per altro invitato di recente negli Stati Uniti poiché, a quanto pare, anche lì sarebbero interessati ad adottare i principi di questa cura tanto osteggiata qui da noi.

Per tornare invece sul caso Lombardia, anche lì, se ne sono sentite di cotte e di crude senza che qualcuno, alla fine, si sia preoccupato di capire davvero come mai proprio questa regione sia stata così colpita e al contempo si sia ritrovata così impreparata ad arginare il problema. Ipotesi al riguardo se ne son fatte anche troppe, ma come al solito, certezze poche. Per alcuni la causa sarebbe legata al troppo inquinamento (per carità, è stato dimostrato che il particolato presente nell’aria faciliti la diffusione del virus), altri hanno detto che si sia trattato di misure ospedaliere inefficienti come i condotti dell’aria con una pessima manutenzione, altri ancora hanno scaricato la responsabilità sulle decisioni mediche come quella di non isolare da subito i pazienti … Di sicuro l’errata diagnostica proseguita per quasi due mesi, per cui i pazienti venivano curati per una patologia respiratoria quando invece il covid-19 colpisce il microcircolo venoso, non ha aiutato.

Vorrei evitare di fare commenti sull’app “Immuni”, di cui per altro, negli ultimi giorni, non si è piu’ saputo nulla ma, per una questione di “par condicio”, spenderò ancora qualche riga sulle raccomandazioni specifiche per la fase due. Secondo politici, medici ed esperti vari, siamo noi cittadini, ora a doverci prendere ogni responsabilità, perché un secondo lockdown stretto (e aggiungerei pesante) come quello che abbiamo trascorso, potrebbe esserci fatale … Ebbene, a tal proposito l’unico augurio che mi sorge spontaneo è “Che Dio ce la mandi buona” …


Immagine di Fernando Zhiminaicela da Pixabay

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