Son giorni, ormai, che declino le ore affondando remi e braccia nel liquido universo che quassù mi spinge
a centinaia di metri poggiato su velo d’ignoto, oltre ogni immagine immaginabile,
qui ove sconto la pena d’ una bramosia che rode le ossa.
Anche oggi torno innanzi a quest’ ultimo orlo di pietra, principio e fine di continenti e regni:
abisso verticale di granito scolpito in torri e sbreghi di merli, come fossero antiche mura di Costantinopoli.
Grovigli di correnti rabbiose impediscono l’approdo e allora m’arrendo,
gioiosamente sconfitto, a contemplar da lontano questo truciolo di mondo assediato dal mare,
scolpito dentro il cielo violento d’azzurro.
Dopo ore di sforzi sulla geometria dell’orizzonte, quando ogni ombra fugge cacciata dal sole allo zenit,
in sordina e non evocata, la meravigliosa liturgia inizia.
Ogni volta mille baci ritmati cullano questo guscio che mi eleva sull’ abisso,
la mia linfa scorre sotto pelle rovente e luce abbagliante addirittura scolora questa ubiquitaria meraviglia.
Nel ticchettio di pensieri lungo il bordo della barca il mondo rallenta dentro un tempo quasi presente ai sensi,
ormai vischioso come inerte massa di vetro;
quando il braccio si sgonfia di forza e mani e schiena principiano a cedere,
l’acqua rigata di pioggia minuta,
avidamente graffiata da ragnatele più bianche alla cima del remo, diventa litania di gesti senza sforzo.
Ascolto l’inabissarsi delle mie vene nel silenzio del gesto perfetto in se stesso,
calmo, deciso, ineluttabile, il gesto da me, sepolto di sole, non più voluto.
Poi m’assorda il fluire del sangue e divento ritmo del velo che mi regge,
dentro ricordi di qualcosa in me scomparso,
in quell’ io che ora pare bestemmia, avvinghiato a segmenti di miraggi,
forse premio alla vita d’un altro.
Ascolto battiti sommessi prima assenti, assolutamente nuovi e mai uguali,
sincopi che passano dal cuore ma non ne provengono, che riempiono pause tra onde e frattali di schiuma.
Il racconto che mi lega a me stesso si ferma nell’ insonoro sciabordio che travolge atomi e alghe,
trapassa qualunque carne, qualunque orbitale d’elettrone fantasma,
dentro ricamo tenue di mondi e tempi abissali.
Proprio qui, seduto con tutti i miei io sotto la pioggia di sole
nel gesto perfetto a se stesso,
qualcuno respira l’ afrore di sale
sopra onde rotte di vento leggero
e raduna infiniti rivoli di storie in ogni carezza di remo.
Semplicemente vivo, nella barca vuota.
immagine tratta da Pixabay