Per gli amanti della lettura le feste sono sempre un’occasione per riuscire a mettere mano alla pila di libri accumulata nei mesi precedenti o per scoprire nuovi generi, seguendo consigli di amici o di blog e riviste. Quest’anno vorrei dedicare le letture natalizie al genere storico. Ovvero a quel filone di romanzi che ricostruiscono periodi storici passati, affiancando ad alcune delle figure realmente vissute – e note al grande pubblico – anche personaggi perfettamente inventati.
Tra gli esempi più alti di questo genere potremmo citare dunque “Guerra e Pace”, forse la più grande prova di epica moderna, in cui Tolstoj racconta dell’invasione di Napoleone in Russia, dando voce a personaggi inventati e ormai noti come il principe Andrej Bolkonskij che, nella narrazione diventa aiutante di campo di Michail Illarionovič Kutuzov, comandante supremo russo, realmente esistito e le cui strategie portarono alla sconfitta di Napoleone.
Vorrei però segnalare anche la pubblicazione di diari e testimonianze di personaggi storici realmente esistiti, seppur non famosi e che ci hanno raccontato la storia da dietro le quinte, dandoci l’opportunità di guardare ad eventi che abbiamo magari studiato a scuola, da un punto di vista insolito.
Comincerò in ogni caso da un giallo ambientato nella Napoli del ‘700. Si intitola La voce dei Turchini, lo ha pubblicato Piemme e l’autore, molto abile nel ricreare quella che poteva essere l’atmosfera dell’epoca, si chiama Livio Macchi. A mio avviso si tratta di un autore piuttosto sottovalutato. Parlerò di questo suo romanzo invece che di quello appena uscito, ovvero Il principe del fuoco, semplicemente perché quest’ultimo non sono ancora riuscita a leggerlo per cui ne farò una recensione più avanti.
Le intricate e avvincenti vicende dei Turchini si aprono, in ogni caso, all’indomani della dominazione asburgica e precisamente il 10 maggio del 1734 quando Carlo di Borbone, figlio di Filippo V, fa il suo ingresso in città, acclamato dalla popolazione tutta. “Napoli era una città splendida” ci dice l’autore sin dalla prima pagina e non solo “per la posizione sul suo golfo naturale” ma anche perché “le sue ampie vie erano affollate giorno e notte da portantine, carrozze, carretti, servi correnti, avvocati in quantità, preti, popolo alto e basso, artigiani e bottegai che vendevano senza aver bottega, così sulla strada intralciando. La città pulsava al ritmo di 400 mila persone , trentamila cavalli, quindicimila tra vacche e galline, la metà di cani e capre e un numero sterminato di topi: era una delle più grandi metropoli d’Europa, seconda solo a Parigi e puzzava di conseguenza”.
Qui tra contesse, imbellettate, cantanti lirici, usurai senza scrupoli si consuma una storia di omicidi tra i cantori del conservatorio di Santa Maria della Pietà, detti appunto i turchini per via delle loro vesti. La posta in palio nonché il movente dei delitti, è la possibilità di ascendere alla posizione di cantore alla Cappella Sistina in Vaticano. Di questo sembra essere convinto Fernando Chilivesto, l’ostinato capitano di giustizia che segue le indagini, al quale toccherà sciogliere i nodi di un fitto intreccio fatto di rivalità, amori illeciti, truffe violenza e follia.
Passando al secolo successivo, attraversiamo l’intera penisola per arrivare, in Piemonte, con il diario della marchesa Faustina Roero di Cortanze (1798-1872) che fu una delle donne più belle e affascinanti della Corte Sabauda, ma che Honoré De Balzac definì anche “l’unica donna spirituale e colta d’Italia”. Fu, infatti, dama di corte e intima amica di Maria Teresa d’Asburgo-Lorena che nel 1817 andò in sposa al principe Carlo Alberto. I suoi diari sono stati recentemente raccolti e pubblicati dal Centro Studi Piemontesi, in un interessante volume dal titolo A vent’anni ero bella che documenta quasi cinquant’anni di storia di Casa Savoia, dalla restaurazione post-napoleonica alla nascita del Regno d’Italia, coniugando un notevole acume nell’interpretazione dei fatti e uno stile innegabilmente brillante.
Il volume, recentemente pubblicato dal Centro Studi Piemontesi, pone in rilievo il punto di vista inedito di una testimone oculare che, seppur dietro le quinte, offre spunti interessanti anche sul carattere di alcuni dei protagonisti dell’epoca come quello dello stesso Carlo Alberto. Nata Frichignono di Castellengo, Faustina sposò nel 1815 Vittorio Roero di Cortanze e nel periodo trascorso al servizio di Maria Teresa, visse a lungo al Castello di Racconigi. Proprio qui approdarono poi, negli anni ‘30 del Novecento, i manoscritti delle sue memorie che completano la copia parziale del diario già presente alla Biblioteca Reale di Torino e ritenuta, fino a non molto tempo fa, l’unica esistente. Nell’attuale pubblicazione sono stati dunque integrati oltre vent’anni di ricordi, portati alla luce dalle curatrici, Maria Teresa Reineri e Cristina Corlando, attraverso un lavoro di ricerca tra le fonti disponibili che ha permesso di identificare nei quaderni di Racconigi la versione integrale del diario. Ne scaturisce l’immagine di una donna non soltanto bella, colta e spiritosa, ma anche saggia e avveduta. Aveva viaggiato abbastanza, infatti, da sapere che “l’intelligenza delle donne è un potere in Francia e una disgrazia al di qua delle Alpi”.
Spostandoci ancora di un secolo approdiamo invece, a Casa Tyneford di Natasha Solomons, recentemente pubblicato da Neri Pozza. La narrazione è, infatti, ambientata subito prima e durante lo scoppio della seconda guerra mondiale. Il romanzo si apre su una Vienna che non può più permettersi di essere la città viva ed internazionale che era sempre stata. Almeno non per gli ebrei.
E’ il 1938 e prima che la situazione precipiti, molte famiglie decidono di mandare i figli a lavorare all’estero affinché le loro vite siano al sicuro. E’ così che la diciannovenne Elise Landau approda in Inghilterra per fare la cameriera. La giovane però è cresciuta negli agi di una famiglia borghese e benestante ebraica: la madre, Anna, è una stella dell’Opera di Vienna; e il padre, Julian, un noto scrittore. Una volta giunta a Tyneford House, una magnifica residenza signorile, la giovane donna non può fare a meno di sentirsi sola e sperduta. Lontana dalla sua famiglia e dalla scintillante Vienna, le restano soltanto un filo di perle donatole dalla madre e una viola di palissandro, in cui è gelosamente custodito l’ultimo romanzo di suo padre che in Austria nessuno vuol più pubblicare.
In difficoltà con una lingua che non comprende e con cui fatica a esprimersi e a disagio sia con la servitù sia con i proprietari, Elise tenta, giorno dopo giorno, di non abbandonarsi alla nostalgia e alla preoccupazione per i suoi familiari, bloccati a Vienna in attesa del visto per fuggire in America. La guerra in ogni caso stravolgerà la vita di tutti.
Per tornare ai diari, farei ora, invece un balzo indietro, per Le note del guanciale, pubblicato in Italia dalle edizioni SE già alcuni anni fa. Siamo infatti intorno all’anno Mille in Giappone. A scrivere i suoi diari è Sei Shōnagon, dama di compagnia dell’imperatrice Teishi. In questi diari che hanno uno stile spesso più vicino alla poesia che alla prosa, si alternano descrizioni della vita di corte, aneddoti ed elenchi. Ci sono ad esempio le Cose che stancano, le Cose spiacevoli e le Cose imbarazzanti, ma il mio preferito è il capitoletto dedicato alle “Cose che fanno palpitare il cuore” che non starò a riportare per non compromettere il piacere della scoperta personale.
Le aristocratiche giapponesi di questo periodo storico vivono una condizione particolare: sono preziose perché le loro famiglie sperano che diventino amanti o consorti dell’imperatore e che gli diano un figlio, in modo da acquisire e monopolizzare le cariche principali. Il loro successo – e dunque la sopravvivenza – dipende dalla loro bellezza e giovinezza, ma anche dal talento. Devono saper vestire abbinando i colori al protocollo e alla stagione, suonare accordandosi al frinire delle cicale o al tamburellare della pioggia, muoversi con garbo, scivolando silenziosamente sulle ginocchia ma la loro vita è sempre incerta. La loro sicurezza, il loro prestigio, dipendono dagli uomini, che possono scegliere di amarle come di respingerle, di accoglierle sotto la loro protezione così come di abbandonarle. Essendo dunque colte e sensibili queste aristocratiche si dedicano, seppur di nascosto, alla scrittura, dando vita ad un fenomeno letterario molto interessante, grazie al quale la lingua giapponese acquisisce dignità artistica, emancipandosi dalla propria condizione subalterna.