LA PELLE DELL’ACQUA

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Come a caso,
accarezzando la pelle dell’acqua,
sono entrato nel sogno dei venti:
strappo anch’io contorni di navi e scaglie di colline,
scavo colori violenti dalla tela d’aria umida,
insaporita d’ozono che dilata polmoni rigidi.
Senza dormire posso toccare la scia di gocce salate
che razziano polvere dai muri del porto;
m’accompagnano oltre l’umile stagno del molo,
oltre le placide barche tintinnanti come giocattoli rotti,
oltre la selva d’aculei e sartie.
Varcato quel limite, sopra il magma profondo e morto di luce,
larghe strisce di nembi cupi,
quasi altipiani plananti di materia chiamati alla guerra,
frementi, attendono.
Da chissà dove,
impercettibilmente,
piove
e il vapore che mugghia s’attacca nei pori,
abbarbicato ad usuali steli di cheratina,
gonfiando ogni cosa d’elettricità.
Mentre lampi di sangue scorrono
dietro palpebre chiuse allo schiaffo più forte di schiuma.
Vado randagio sul foglio che si gonfia,
reso sale tra stille d’esistenze
riunite sulla mia pelle.
Nel rigurgito della marea,
in quel che rimane nei sensi privi di vita,
dentro questo abbarbicato me sul pennone.
La gola affoga dentro fiumi colorati d’alba
sotto violacei soffitti di vapore,
come in un mantra di frattali minuti mischiati a sabbia gialla.
Ogni cosa disegnata all’intersezione di tutte le altre
nel luogo perfetto in cui ritrovarmi
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