“Andrà tutto bene”. All’inizio della pandemia, vi ricorderete, andavamo ripetendo e scrivendo questa sorta di mantra ovunque. Ad un certo punto era diventato quasi un tormentone che però, evidentemente ci rassicurava.
“Tornerà tutto come prima” era l’altro leitmotiv che andava per la maggiore.
Se da una parte, dopo il primo anno (con il prolungarsi dello stato d’emergenza e delle restrizioni), molti hanno cominciato a diffondere in rete messaggi catastrofici, dall’altra, alcuni continuavano imperterriti con testi sempre più rassicuranti del tipo che, magari non saremmo più tornati come prima, ma ne saremmo usciti migliori. Provati certo, ma più coesi, solidali e consapevoli.
In realtà questi due anni hanno causato ferite e spaccature profonde sia di tipo socio/psicologico sia di tipo politico, per non parlare della crisi economica, peggiorata dalla guerra in Ucraina.
Si è creato, in particolare un divario ulteriore tra ricchi (sempre più ricchi) e nuovi poveri, favorendo attivamente, in taluni casi, proprio coloro che erano già estremamente facoltosi. Ma le conseguenze sociologiche e psicologiche sono forse quelle che ci trascineremo più a lungo: l’isolamento sociale, la reclusione in casa e il peso dell’incertezza hanno colpito molto duramente l’equilibrio mentale delle persone, soprattutto anziani e adolescenti. Non è un caso, quindi, se la letteratura dell’ultimo periodo sia un fiorire di testi, saggi e approfondimenti sia sul momento attuale sia sulle conseguenze per il futuro.
“L’obiettivo da raggiungere sembra essere il ritorno alla normalità, intesa come la situazione precedente alla pandemia”. Ma spiega Ambrogio Santambrogio, professore di Sociologia all’Università di Perugia, sarebbe l’errore peggiore che potremmo fare”. Presentando il suo ultimo saggio “Ecologia sociale. La società dopo la pandemia” edito da Mondadori Università ha specificato che proprio “quella normalità ha prodotto il virus. Il Covid-19 è un segno” ha detto: “il segno più evidente di una logica perversa sempre più pervasiva”, riferendosi ovviamente alla logica del capitalismo neo-liberista, che si è andata affermando dopo la crisi delle politiche di welfare.
È una logica dominata dalla potenza di una tecnologia il cui sviluppo è ormai fine a se stesso, e funzionale alla produzione di profitti diventati indipendenti anche dalle tradizionali logiche capitalistiche. Si tratta di qualcosa che si è sottratto ad ogni forma di controllo, non solo a quello svolto dalle forze sindacali e sociali, ma anche a quello degli Stati e, più in generale della politica. Per questo spiega l’autore “si auto-rappresenta come una dimensione senza limiti; che va al di là di ogni ragionevolezza, in nome di una corsa senza senso al consumo”
“Siamo su una macchina” scrive ancora Santambrogio “che ogni giorno diventa sempre più potente e veloce, non abbiamo scelto né la macchina né la sua velocità e, soprattutto, non sappiamo dove stiamo andando. Non siamo neppure in grado di farcene un’idea e i proprietari della macchina sembrano del tutto disinteressati della cosa. Abbiamo però un qualche sentore che così non si va da nessuna parte, perché tutto ciò che sembra importare è la potenza e la velocità della macchina mentre nessuno dei problemi che stanno lì fuori, e che il mezzo su cui siamo tende a creare, viene preso in seria considerazione. La pandemia ci dice, semplicemente, che oltre alla soluzione del problema sanitario e medico in sé e per sé (soluzione che pare anch’essa in mano a quella logica), forse è il momento di fermarsi e provare a ragionare”.
Altro titolo eloquente è “Un virus classista. Pandemia, diseguaglianze e istituzioni”. Si tratta del saggio di Benedetto Saraceno, pubblicato dalle edizioni Alpha & Beta. Psichiatra, è professore ordinario di Global Health all’Università di Lisbona, l’autore dirige anche, un master internazionale in Politiche di salute mentale, e nel suo saggio spiega come, oltre a portare morte, sofferenza e gravi danni all’economia del nostro Paese, la pandemia abbia fatto emergere le drammatiche carenze e distorsioni nel sistema sanitario e di welfare territoriale, frutto di cecità culturale e di scelte politiche irresponsabili.
Ha inoltre reso evidente la débâcle del modello residenziale per tutti i soggetti fragili. Il paradigma della psichiatria istituzionale, messo in crisi da Franco Basaglia e dall’impianto della legge 180, si ripresenta oggi in modo pervasivo, e ben oltre l’ambito psichiatrico, per “contagiare” l’intero universo delle disabilità e delle vulnerabilità psicosociali. Con la pandemia è emerso infatti il grave deficit di democrazia sia nella salute sia nella sanità. Un deficit che andrebbe colmato mediante la promozione e lo sviluppo di processi di “democrazia dal basso”: una medicina e un welfare integrati e rafforzati, una reale trasparenza dei sistemi sanitari e la riappropriazione del diritto alla salute da parte delle comunità locali.
“I non-luoghi del Coronavirus – Il Covid-19, la filosofia e gli zombie” di Pierre Dalla Vigna (professore associato di Estetica all’Università degli Studi dell’Insubria) è invece l’inconsueto titolo di un saggio pubblicato dalle edizioni Mimesis, che affronta il fenomeno alla luce della percezione che se ne ha, grazie anche ai media, ai social etc. Paragonare la pandemia ad una guerra ad esempio, usando proprio una terminologia “di guerra” ha quasi trasformato le comunità in una sorta di collettivo militarizzato pronto a denunciare il vicino che usciva di casa o invitava gli amici, le persone che andavano a correre al parco e tutti coloro che dimenticavano a casa o si rifiutavano di indossare mascherina e guanti.
La filosofia applicata al Coronavirus dunque prova ad analizzare quali siano le forze in campo: come si configurano i poteri e le strategie di controllo sui corpi e sulle popolazioni o come questi ultimi possano intervenire e sottrarsi a tale dominio etc.
Un altro testo interessante infine, che si interroga sul futuro in modo decisamente concreto è “L’economia italiana dopo il Covid-19. Come ricominciare a crescere?” a cura di Giorgio Bellettini e Andrea Goldstein (Bononia University Press) con una prefazione di Pier Carlo Padoan.
L’Italia è uno dei paesi che è stato maggiormente colpito sia in termini di vite umane sia di perdite economiche. In questi mesi la pandemia ha scavato un solco molto profondo nell’economia di tutto il mondo, ma in particolare nel nostro Paese: in meno di un anno, l’intera geografia occupazionale italiana è stata stravolta, comportando inedite condizioni di lavoro e la conseguente crisi di moltissimi settori. “Tra vent’anni, gli storici considereranno la crisi del COVID-19 come un importante punto di rottura nella storia dell’Italia, dell’Europa e del sistema globale. Come la descriveranno?” si domandano gli autori “Certamente in termini di estensione e profondità (la crisi più grave dopo la Grande Depressione), ma sottolineando anche la sua natura particolare. Contrariamente alla Grande Crisi Finanziaria del 2008-10” specifica “quella del COVID-19 è una “doppia crisi”, che ha un impatto sia sulla salute, sia sull’economia. È l’interazione tra questi due componenti che ha reso il COVID-19 un evento senza precedenti (almeno nella storia contemporanea). L’interazione e i trade-off sono stati tali che, per migliorare i parametri di salute, è stato necessario un deterioramento delle condizioni economiche e viceversa”.
In questo libro, 34 esperti analizzano dunque l’impatto immediato del Covid-19 sulla nostra economia e mostrano come l’emergenza possa rivelarsi però anche un’opportunità per rompere la situazione di stallo delle riforme e gettare le basi per una ripresa sostenibile. L’obiettivo di questo saggio è anche quello di far luce su quanto è accaduto in Italia durante l’epidemia di Covid, ovvero durante un momento estremamente importante nella storia nazionale, sotto vari punti di vista: da ciò che la risposta ha rivelato sullo stato dell’economia, alle sottostanti forze di policy ma puntando i riflettori anche e soprattutto sulle prospettive di lungo termine.