La tendenza, nata una decina d’anni or sono, di ripescare talenti femminili del passato, sta prendendo fortunatamente sempre più piede. Grazie ad alcuni libri, film e serial, usciti di recente – o comunque in questi ultimi anni – si sono potute riaccendere le luci su molte donne vissute in diversi periodi storici che, nonostante abbiano avuto grandi meriti (in ambito letterario, musicale, scientifico, giudiziario etc.) sono però, alla loro morte, cadute nell’oblio più assoluto. Oppure, ancora peggio, sono state consegnate alla storia con un alone negativo, soprattutto quando abbiano osato rivendicare i propri diritti o se, con le loro azioni, abbiano in qualche modo rischiato di sfidare il potere maschile.
E’ il caso, ad esempio, della Contessa di Castiglione su cui Valeria Palumbo ha scritto un saggio che ha un titolo emblematico “La donna che osò amare se stessa”, pubblicato da Neri Pozza alla fine del 2021.
Virginia Oldoini fu, infatti, odiata sia dalle donne (che la invidiavano), sia da quegli uomini che non potevano possederla o dominarla. E, come se non bastasse, alla fine dei su giorni fu messa da parte e osteggiata anche e soprattutto da quelli che l’avevano sfruttata per le loro cause politiche.
Più che i libri, hanno però avuto grande successo film e serial. “Il corsetto dell’imperatrice” di Marie Kreutzer, dedicato all’infelice e famosissima imperatrice Sissi, è tra le pellicole più premiate degli ultimi tempi. Racconta la sua vita da un’ottica che ne mette in risalto l’infelicità della donna più che il ruolo da lei ricoperto.
Grande risonanza ha avuto anche il serial targato Netflix su Lidia Poët, tornata alla ribalta dopo un secolo e mezzo di assoluta “dimenticanza”. Per chi non lo sapesse, Lidia fu la prima laureata in giurisprudenza d’Italia. Discusse la tesi nel 1881 (epoca in cui molto più del 50% delle donne era ancora analfabeta) e poi fece il praticantato, sostenendo l’esame di stato. Fu così dunque la prima iscritta all’Ordine degli Avvocati e dei procuratori.
Peccato che la sua iscrizione sia stata poi revocata quasi subito, poiché la legge, all’epoca, non consentiva alle donne di svolgere libere professioni. Lei tenne duro e lottò tutta la sua vita per ottenere il diritto di poter svolgere la professione forense per la quale aveva tanto studiato. grazie al sostegno dei familiari, riuscì a viaggiare e a farsi conoscere all’estero come relatrice in prestigiosi congressi internazionali penali e si impegnò a difesa delle fasce deboli della società, occupandosi anche della causa del femminismo e diventando così, negli anni ’20 presidentessa del Comitato pro voto di Torino.
Non solo si batteva per il suffragio universale ma anche per la condizione dei carcerati (sosteneva che bisognasse portare l’arte e la cultura nelle carceri) e per i minori, a favore dei quali chiedeva l’istituzione di un tribunale che non li giudicasse con gli stessi parametri usati per gli adulti. Le sue rivendicazioni, portate avanti con grande determinazione sono state recepite per citare ancora l’autrice del libro “solo negli anni ‘60/’70 del ‘900, il che dimostra come lei fosse una donna capace di vedere oltre i limiti del suo tempo. Eppure anche lei è stata subito dimenticata e solo di recente nuovamente riscoperta. Le altre laureate dell’epoca dovranno aspettare probabilmente finché qualche altra fiction non decida di riesumarle dal “dimenticatoio”
La stessa sorte è toccata anche a scrittrici ora piuttosto note anche al grande pubblico come Elisabeth Gaskell e Jane Austen. Quest’ultima è solo stata rilanciata dal cinema qualche anno prima rispetto a Lidia Poët, ma negli anni 60/70 era ancora relegata, in quanto donna, all’ambito della scrittura rosa. Solo negli ultimi anni è stata riconosciuta come una delle migliori scrittrici di inizio ‘800, dal momento cioè che alcuni tra i più accreditati studiosi e critici hanno paragonato la sua scrittura a quella di autori ormai consacrati quali Flaubert ed Henry James, sottolineandone, in più, una dimensione “rivoluzionaria” che agli altri, invece, mancherebbe.
L’Italia è comunque stata contagiata dalla “Austen-mania” solo negli ultimi 20/25 anni. Il fenomeno ha preso il via infatti sulla scia della splendida trasposizione filmica di “Ragione e sentimento” ad opera del regista Ang Lee, a fine anni ’90. Ora diversi studiosi concordano con il noto critico letterario Pietro Citati, il quale, riferendosi all’autrice di “Orgoglio e pregiudizio” ha scritto che “Non riconosciamo ancora quale sia la sua grandezza. Almeno non in Italia”.
Lo stesso afferma anche Roberto Bertinetti, docente di letteratura inglese all’università di Trieste. Egli sostiene che, in effetti, chi si sofferma solo sugli eventi al centro dei romanzi della Austen “li ritiene esclusivamente capolavori in rosa, appassionanti storie d’amore a lieto fine”, ma poi specifica che, se si guarda al di la della trama, i suoi romanzi “presentano un impareggiabile ritratto della società britannica di inizio Ottocento, cui si accompagna un’orgogliosa rivendicazione dei diritti femminili”. A tal proposito Bertinetti definisce la Austen addirittura una sovversiva.
In effetti, le protagoniste dei suoi romanzi si celano, solo apparentemente, silenziose e compite, dietro al rispetto delle convenzioni e delle formalità dell’epoca, mentre in realtà riportano (talvolta anche apertamente nelle loro conversazioni salottiere) le idee che la Austen molto probabilmente aveva, almeno in parte, acquisito dalla scrittrice Mary Wollstonecraft, sua contemporanea e nota per il suo “Trattato sulla “Rivendicazione dei diritti della donna”.
Per le donne che hanno invece ambito a qualche forma di potere o di riconoscimento, la punizione è un po’ diversa. Invece di cadere nel “dimenticatoio”, sono state ricoperte di giudizi negativi fino ad essere tacciate di Pazzia. In linea di massima, infatti, le donne di potere, a meno che non si trattasse di regine consorti, si attiravano, molte più maldicenze, come se dovessero pagare il fio per aver provato ad usurpare un diritto che sarebbe dovuto per consuetudine spettare ad un uomo. In parole semplici, gli uomini potevano mirare a cariche e riconoscimenti, mentre le donne no.
Se erano fortunate, avevano un marito che, in qualche modo proteggeva la loro immagine e riuscivano così a ritagliarsi un posto nella memoria collettiva con l’effigie immacolata di chi era in grado di conciliare una professione con la famiglia. Mettendo ovviamente avanti la seconda. Ma erano appunto casi rari. Una di queste fortunate fu Adelaide Ristori considerata la più grande attrice dell’800. Riuscì a calcare le scene di tutto il mondo riscattando contemporaneamente la figura della professionista in ambito teatrale che, a quei tempi, era considerata assai negativamente. Già professare un mestiere era considerato disdicevole, soprattutto per le giovani donne di famiglie benestanti, ma quello dell’attrice era paragonato addirittura alla prostituzione.
La bravura e il talento di Adelaide la elevarono però ad un tale prestigio e successo mondiale da essere ricevuta e apprezzata anche nelle corti reali dell’epoca. Eppure, a conti fatti, la sua vera fortuna fu il suo matrimonio con il marchese Giuliano Capranica del Grillo poiché gli attori e le attrici erano considerati, seppur con tutta la loro fama, dei semplici mestieranti che occupavano gli ultimi gradini della scala sociale. Il loro matrimonio fu anomalo perché il marchese, invece di imporre alla moglie di lasciare la professione (come consuetudine) ne divenne invece l’impresario e così insieme girarono il mondo (dagli Stati Uniti all’Australia), portando ovunque il successo di Adelaide.
Lei dal canto suo seppe sfruttare al meglio quest’opportunità. Riuscendo a portare con sé, nelle lunghe tournée, sia il marito sia i quattro figli, ebbe modo di dimostrare che quella dell’attrice poteva essere una professione più che rispettabile (contrariamente appunto alle credenze dell’epoca), contribuendo così a riscattarne l’immagine. Da sottolineare però, fu anche la sua attività patriottica. I suoi spettacoli venivano sovente interrotti dalla polizia, poiché ella, dal palcoscenico lanciava slogan a favore dell’Italia.
Perfino Mazzini pensò di utilizzare la sua notorietà crescente per la causa nazionale e Cavour le affidò, nel 1860, in occasione della sua prima tournée a San Pietroburgo, una delicata missione presso la corte dello Zar. La Rai le ha dedicato l’anno scorso una puntata di “Italiani” condotta da Paolo Mieli facilmente reperibile sul sito di Rai Play.
Ma torniamo alla Contessa di Castiglione. Anche a lei furono assegnate delicate missioni per la “Causa dell’Unità d’Italia. Ma nessun riconoscimento. E’ stata raccontata, di volta in volta, come la più bella e la più spregiudicata delle dame alla corte di Napoleone III, come agente di Cavour, come amica dei potenti, ma anche come avida, perversa, passionale e speculatrice e poi, negli ultimi anni della sua vita, quando fu lasciata da parte, fu fu addirittura additata come una peccatrice e una pazza che proclamava di aver fatto l’Italia e salvato il papato. Non ha trovato ovviamente posto nel Pantheon dei fondatori della patria che, guarda caso erano tutti maschi. Come al solito, alle donne toccavano gli oneri (le corti di tutta Europa erano piene di donne sacrificate alle cause politiche più varie) ma gli onori e la gloria alla fine andavano soltanto agli uomini e solo loro potevano essere consegnati alla storia come figure eroiche, capaci e coraggiose o almeno argute e lungimiranti.