Simili a quelle città splendide e perdute narrate dai racconti dei carovanieri, sepolte da dune immense e cangianti, forse capitali di imperi scomparsi o forse solo apparse in miraggi, i ricordi perduti da decenni riaffioravano vividi nella notte.
Era l’epoca in cui Idrissa e gli altri ragazzi, con la spavalderia e l’incoscienza di chi si sente pieno di forze e invincibile, osavano esplorare lontano dal loro villaggio territori proibiti dai vecchi.
A volte erano le ultime pendici del deserto roccioso che si spingevano fino quasi a lambire il loro villaggio, altre volte erano tracce dei sentieri dei carovanieri disegnate chissà quanto tempo prima.
C’era una prova di coraggio nella quale Idrissa eccelleva tra i suoi coetanei.
Si trattava di una specie di gioco: a sorte si decideva chi quel giorno si sarebbe avventurato nella direzione scelta dal gruppo e il coraggio consisteva nel percorrere la strada più lunga senza mai voltarsi indietro finché spesso si perdeva completamente il contatto visivo con gli altri e ci si trovava soli, senza riparo, in un ambiente ostile che presto il caldo avrebbe reso mortale. Allora iniziava il precipitoso viaggio a ritroso.
Quel giorno Idrissa si sentiva bene, troppo bene, forte e pieno di energie e così aveva camminato in direzione nord per molto tempo senza voltarsi. Si trovava in un luogo mai visto, molto più a nord di quanto chiunque nel suo villaggio si fosse spinto da molti anni, una specie di bassopiano arido spazzato da un vento costante che iniziava a diventare molto caldo. Solamente quando la sabbia alzata dal vento lo aveva avvolto in una specie di nebbia dorata Idrissa si fermò e si guardò intorno deciso a riprendere la via verso casa.
Allora si accorse di essere completamente disorientato. Si trovava dentro una nube di sabbia che luccicava tutto attorno a lui in ogni direzione precludendogli la vista di un qualsiasi punto di riferimento. Dopo un attimo di smarrimento Idrissa pensò di ritornare sui suoi passi rifacendo in senso inverso la strada percorsa e segnata dalle proprie impronte.
Gli si gelò il sangue quando un attimo dopo capì che le sue orme semplicemente non esistevano più spazzate via dal vento.
Era solo, senza riferimenti, in un avvallamento che presto sarebbe diventato insopportabilmente caldo anche per il suo giovane corpo allenato a quel clima. Nessun rumore tranne il sibilo insistente del vento, nessuna voce umana, nessuna roccia conosciuta a indicare la strada.
Non c’era un minuto da perdere, bisognava togliersi da lì e riguadagnare la strada di casa… ma in quale direzione?
Idrissa si ricordava vagamente di aver notato in lontananza, alla sua destra, mentre camminava, delle rocce che forse avrebbero potuto nascondere anfratti ombrosi. Era l’unica sua possibilità: cercare un lembo d’ombra e attendere lì che scendesse la notte, senza ascoltare la sua gola riarsa e la pelle dolorante e ustionata e poi, grazie alle stelle, orientarsi verso sud sperando di trovare quello sperduto villaggio di poche capanne che aveva lasciato all’alba di quello stesso giorno.
Risoluto come solo un ragazzo sa essere si girò sulla destra e cominciò a camminare nella direzione in cui avrebbe dovuto trovare le rocce, sempre che nel frattempo egli non avesse perso l’orientamento e le rocce non fossero più … a destra!
I suoi amici col passare del tempo si resero conto che questa volta Idrissa aveva esagerato, che l’acqua era da riportare al villaggio e che lì avrebbero potuto dare l’allarme. Forse qualche vecchio cacciatore o forse lo sciamano avrebbero saputo cosa c’era nella direzione presa da Idrissa.
Scrutarono l’orizzonte e videro che davanti a loro, a grande distanza, vi era una nube di polvere dorata sollevata dai venti: si stava avvicinando una tempesta di sabbia e il gioco e la sorte avevano scelto per il loro coraggioso amico proprio quella direzione!
Moussa il più vecchio di loro prese il comando delle operazioni: “Abdou, tu che sei il più veloce tra noi corri al villaggio, vai dal Capo villaggio o da Saidou e dì loro che Idrissa si è incamminato verso nord che il sole non era ancora alto e proprio in quella direzione ora sta sopraggiungendo una tempesta di sabbia.”
“Non importa se ti sgrideranno ma fai capire loro che Idrissa è veramente in pericolo! Vai, corri e cerca di essere ancora più veloce di quando facciamo le gare e tu ci lasci indietro! Noi porteremo l’acqua a casa per tutti”
Abdou era piccolo e gracile, non aveva che 8 anni ma quando correva sembrava che cavalcasse il vento. Era in grado di correre per molti minuti, leggero e quasi sorridente e per la sua leggerezza né la sabbia né le strade melmose sembravano rallentarlo.
Abdou si sentì molto importante e capì che dalla sua velocità poteva dipendere la vita di Idrissa. Voleva bene a quel ragazzo molto più grande che sempre giocava con lui e spesso la sera gli raccontava le storie del deserto. Posato a terra il suo fardello iniziò a correre verso sud.
Idrissa combatteva contro il vento e la sabbia, si era riparato il volto ma era come se migliaia di spilli lo pungessero sulle gambe, sul torace, sulle braccia. I granelli di sabbia infuocata erano un tormento, ma l’angoscia si faceva strada e il calore diventava insopportabile.
Idrissa teneva la sua mano destra all’altezza del cuore dove, come ogni componente della sua tribù portava appeso un amuleto con incisi alcuni segni, per lui incomprensibili, che avrebbero dovuto proteggerlo dagli Spiriti, dalle malattie e dai pericoli. Se fosse sopravvissuto avrebbe ringraziato Saidou che con la sua scienza aveva tracciato quei segni sull’osso che portava appeso al collo.
Idrissa ricordava in questa notte davanti alla stella ogni momento di quella giornata e si sorprese divertito a ripensare come egli non sapesse quel giorno che di lì a pochi anni sarebbe stato lui stesso a tracciare quei segni sugli amuleti per i nuovi nati!
Grandi e potenti erano sempre stati gli Spiriti che lo avevano protetto e ora capiva che nulla avrebbe potuto succedergli quel giorno perché Essi avevano per lui grandi progetti!
E furono gli Spiriti che quel giorno lo guidarono in mezzo alla nebbia dorata fino alle prime rocce. Idrissa di sentì battere il cuore quando vide l’ombra di una roccia che tagliava la nebbia. Arso dal sole e senz’acqua combatteva con il suo corpo che non voleva più seguire la sua disperata volontà di vita ma quella roccia lo rianimò ed egli non badando al dolore si diresse là.
Prima una roccia bassa e compatta, inutile per sopravvivere, poi una seconda, una terza e infine davanti ai suoi occhi si aprì un anfratto tra due rocce non più grande di un paio di metri dove, per un gioco di angoli, non si infilava l’atroce vento che spazzava il deserto.
Ebbe l’istinto di correre ma non poté che trascinarsi in quella fenditura dove non c’era nulla, tranne la cosa più importante per lui in quel momento: l’ombra!
Era scosso da brividi, la gola riarsa e quasi incapace di camminare ma ora poteva sperare di resistere e continuare a vivere.
Seppe poi che Abdou corse come solo chi è mandato dagli Spiriti può fare e giunse stremato davanti alla capanna di Saidou e lì cadde incapace di parlare per lo sforzo.
Lo sciamano capì immediatamente cosa poteva essere successo perché sapeva del pericoloso gioco dei ragazzi e li osservava nelle loro prove di coraggio accompagnando con formule magiche i loro sforzi di diventare uomini e proteggendoli affinché ciò avvenisse senza che passassero dalla fanciullezza alla non-esistenza prima di aver vissuto una vita piena.
“Abdou chi si è messo nei guai?”
“Idri” disse con un filo di voce il ragazzo
“Verso il deserto vero? Nella direzione della tempesta?”
Abdou assentì e chiuse gli occhi.
Non serviva altro al grande Saidou.
Portò immediatamente Abdou nella sua capanna e chiese alla due vecchie donne di cui si fidava di più nel villaggio di assistere il ragazzo, Quindi riunì in pochi minuti i cinque migliori cacciatori rimasti al villaggio quella mattina e li mise al corrente che il figlio di Awa si era allontanato da solo verso il deserto andando proprio nella direzione da cui giungeva la tempesta; cioè in direzione Nord.
“Portate con voi solo un po’ d’acqua e delle bende e una coperta e partite subito verso Nord. Idrissa ha poco tempo davanti a sé e dobbiamo trovarlo in fretta”
“Ma nella tempesta si perde la direzione, se non stiamo vicini ci perderemo anche noi anziché trovare lui” disse uno dei cacciatori.
“Usate il segnale che vi scambiate cacciando, assicuratevi di essere in contatto tra voi e andate. Chi di voi conosce meglio quella zona? C’é qualche riparo? Dove può essere andato un ragazzo abile e coraggioso come Idrissa per salvarsi?”
“Saggio Saidou, non tanto distante da dove i ragazzi vanno a prendere l’acqua in direzione nord, su un lato c’è una serie di rocce non molto alte che possono offrire riparo dal vento del nord. Se io fossi sorpreso da una tempesta correrei verso quelle rocce per ripararmi, è l’unica cosa da fare”
“Bene. Se gli Spiriti vorranno questo avranno suggerito a Idrissa e lui avrà capito e sarà andato là. Cominciate a cercare da lì”
“Ti affido anche queste poche gocce di una medicina potentissima da dare al ragazzo. Fagliele bere!”
Idrissa seppe tutto questo solo dopo e negli stessi minuti in cui si organizzava il suo salvataggio lui stava facendo del suo meglio per rendere non vano lo sforzo del suo villaggio: cercava con tutto se stesso di sopravvivere.
Era stremato, la pelle gli bruciava, era una fatica respirare e ogni volta che l’aria rovente giungeva nei suoi polmoni un dolore gli attraversava il petto; era difficile e penoso tenere aperti gli occhi pieni di sabbia, arrossati avrebbero voluto non aprirsi più in quel bagliore accecante fatto di miliardi di particelle di sabbia che riflettevano la luce del sole. Ma Idrissa sapeva che non poteva lasciarsi andare al torpore o non si sarebbe più ripreso.
Tutto il suo corpo si rifiutava di continuare a lottare ma dopo qualche minuto, aprendo ancora una volta gli occhi in quella strettoia tra le rocce lo vide.
In una crepa della roccia, un anfratto dentro l’anfratto, c’era qualcosa che viveva nonostante il deserto, le tempeste, la mancanza d’acqua, il calore insopportabile.
Si piegava al vento ritornando sempre nella stessa posizione, come dire al vento “soffia quanto vuoi ma io qui sono nata e qui resto!” Aveva poche foglie corte e spesse, un corpo rinsecchito formato quasi solo da aculei ma viveva e la prova era un minuscolo fiore rosso, quasi invisibile sulla cima.
“Non solo resto dove sono ma mi riprodurrò caro vento, perché al fiore seguirà il frutto e poi i semi che proprio tu, vento del nord, porterai con te per tutto il deserto finché anche uno solo dei miei semi troverà un terreno, una crepa, un buco, dove attecchire. E la Vita avrà vinto, andrà avanti come succede da millenni. Caro vento, nulla è in tuo potere se non obbedire alla Vita!”
Idrissa febbricitante e delirante sentì queste parole di sfida dette dal fiore del deserto all’implacabile vento del nord e comprese che lui stesso era quel fiore che sembrava stesse per morire ma che doveva resistere perché il suo compito era quello di fiorire, diventare uomo, e continuare la Vita.
“Io sono come quel fiore si disse: il vento mi può sferzare, prosciugare, stremare ma non mi ucciderà, io passerò la tempesta, io fiorirò”.
Quando qualche giorno dopo tornò in sé all’ombra della sua capanna nel villaggio si ricordò del fiore del deserto e fu grato a quella piccola meraviglia di avergli parlato quel giorno. Una volta che si fu rimesso in forze tornò tra quelle rocce a cercare quel varco e quel fiore ma il destino volle che non trovò mai più né l’uno né l’altro tanto che col tempo dubitò di se stesso e si convinse che mai il fiore gli aveva parlato.
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