IL MESTIERE DI VIVERE

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La poesia non è un senso ma uno stato, non un capire ma un essere”. Così scriveva Cesare Pavese ne “Il mestiere di vivere”. Era il 20 febbraio del 1946.

“Il mestiere di vivere”, pubblicato da Einaudi nel 1952, è un libro unico nel suo genere, che si presenta come un diario personale dell’autore, raccolto tra il 1935 e il 1950. Questo diario non è solo una cronaca della vita quotidiana di Pavese, ma una raccolta di pensieri profondi, riflessioni filosofiche, considerazioni letterarie e intime confessioni che offrono una visione profonda del suo animo.

Pavese utilizza il diario come uno strumento per esplorare il suo mestiere di scrittore, ma anche per confrontarsi con i grandi temi esistenziali che lo tormentano: la solitudine, il senso della vita, la morte, l’amore e la disperazione.

“Pavese si è ammazzato perché noi imparassimo a vivere”, scriveva Calvino. “Il mestiere di vivere” ha una scrittura immediata, sincera e senza filtri. Ogni pagina è un incontro ravvicinato con la vulnerabilità e l’umanità dell’autore.

Scriveva ad esempio “Non bastano le disgrazie a fare di un fesso una persona intelligente” o “Il suicidio è un modo di sparire, viene commesso timidamente, silenziosamente, schiacciatamente. Non è più un agire, è un patire”.

Uno degli aspetti più affascinanti del libro è la sua capacità di mostrare l’evoluzione del pensiero di Pavese nel corso degli anni. Attraverso le sue annotazioni, il lettore può seguire il suo percorso artistico e personale, comprendere le sue influenze, le sue letture e le sue aspirazioni.

Egli riflette, infatti, spesso sul ruolo dello scrittore e sul significato della letteratura, offrendo intuizioni preziose sulla sua concezione del mestiere di scrivere.

Il tono del diario varia dal lirico al filosofico, dall’introspezione al resoconto quotidiano, creando una narrazione che è allo stesso tempo intensa e variegata. Pavese si confronta con i suoi fallimenti e le sue insicurezze con una franchezza disarmante, rendendo il libro una lettura emotivamente potente.

“La morte è il riposo” scrive “ma il pensiero della morte è il disturbatore di ogni riposo” e ancora “Abbiamo delle debolezze. Siamo convinti che il proprio bagaglio nessuno lo può cambiare. Cerchiamo con l’astuzia di trasformare in valori le debolezze. Ma se nel bagaglio manca proprio l’astuzia?”

“Il mestiere di vivere” non è solo un’autobiografia intellettuale, ma anche un documento storico che cattura l’atmosfera e le inquietudini dell’Italia del primo dopoguerra. Le riflessioni di Pavese sono spesso intrise di un senso di alienazione e di sconforto, ma anche di una ricerca incessante di significato e di bellezza.

In conclusione, “Il mestiere di vivere” è un’opera che offre una profonda comprensione dell’animo dello scrittore piemontese e del suo mestiere di narratore. È un libro che richiede una lettura attenta e riflessiva, ma che ricompensa il lettore con una ricchezza di pensieri ed emozioni che continuano a riecheggiare molto tempo dopo aver chiuso l’ultima pagina. “Non si ricordano i giorni” diceva “si ricordano gli attimi”.


In occasione del “Pavese festival” – dal 2 al 9 settembre e del “Premio Pavese”, domenica 8 e venerdì 13 settembre

 

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