SI VIS PAX, PARA PACEM

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“Si vis pacem, para bellum”: è il concetto che è stato fatto proprio dai sostenitori del piano di riarmo proposto  dall’Unione Europea sotto la direzione di Ursula Von der Leyen, annunciato all’inizio di marzo 2025. Dobbiamo però tener conto che questo pensiero era quello che informava l’imperialismo dell’antica Roma. Si tratta quindi della pace dei vincitori, basata su rapporti di forza squilibrati. La vera pace è un’altra cosa, ovvero trasformare i conflitti in qualcosa di costruttivo con forme di resistenza o disobbedienza civile e lotte non violente, come insegnava d’altronde già Gandhi, negli anni ’30 ’40 del ‘900.

Il suddetto piano europeo, che è stato ribattezzato “Readiness 2030”, sta suscitando, infatti, preoccupazione e polemiche tra intellettuali, giornalisti e politici di spicco. Con l’intento di rafforzare le capacità militari dell’Europa in risposta alle crescenti tensioni geopolitiche, l’Unione ha deciso di stanziare ingenti fondi per armamenti, in un progetto che non solo rischia di alterare gli equilibri della sicurezza globale, ma pone anche domande inquietanti sulla direzione politica e sociale del continente.

Sarebbe inoltre importante considerare anche le implicazioni economiche e sociali di un piano di riarmo così ambizioso. A fronte di investimenti enormi in armamenti, cresce la preoccupazione che il piano di Von der Leyen distolga risorse vitali per il miglioramento della vita quotidiana dei cittadini europei. In un periodo già difficile, segnato dalla crisi energetica e dalle sfide economiche globali, la priorità per l’Europa dovrebbe essere quella di affrontare le disuguaglianze interne, combattere la povertà e rafforzare i sistemi sanitari ed educativi. Piuttosto che investire ingenti risorse in progetti militari che potrebbero rivelarsi inutili o inefficaci, l’Europa dovrebbe concentrarsi su politiche di sviluppo sostenibile, innovazione e solidarietà.

Come ha spiegato il noto filosofo ed opinionista Massimo Cacciari, in una recente intervista a Repubblica,  l’Europa rischia di perdere la sua identità storica, che affonda le radici nel tentativo di superare le guerre devastanti del XX secolo. La “follia” del piano di riarmo, come l’ha definita lui stesso, rappresenterebbe dunque una contraddizione rispetto alla missione originaria dell’Unione Europea, che dovrebbe essere quella di costruire un continente di pace, non di alimentare nuove tensioni. Secondo il filosofo, la vera sfida non è quella di creare nuove forze armate, ma di lavorare sulla diplomazia e sul dialogo internazionale, recuperando l’eredità della cultura europea pacifista.

Anche il giurista e docente universitario Ugo Mattei ha criticato duramente il piano di riarmo in una lettera aperta pubblicata su Il Manifesto a inizio marzo. Mattei sottolinea che il piano di riarmo non solo è una risposta inefficace alle reali minacce geopolitiche, ma alimenta una visione imperialista che non tiene conto delle nuove dinamiche globali. Secondo lui, l’Europa sta correndo il rischio di diventare una “colonia” degli Stati Uniti, imbarcandosi in una corsa agli armamenti che fa il gioco di potenze esterne, soprattutto degli Stati Uniti, senza una visione autonoma della propria sicurezza. L’intellettuale avverte anche dei rischi sociali: i fondi destinati agli armamenti potrebbero sottrarre risorse cruciali per la salute, l’istruzione e il welfare, creando una frattura tra le élite politiche e i cittadini europei.

Non parliamo poi di Marco Travaglio che, in un articolo su Il Fatto Quotidiano, ha argomentato come la spinta al riarmo europeo sia guidata da una visione ideologica che antepone la logica della sicurezza a quella del benessere sociale. Secondo il giornalista, dietro la retorica della difesa della democrazia e della sicurezza europea si nasconde un gioco geopolitico che mira a consolidare il ruolo della NATO e ad allineare ulteriormente l’Europa agli Stati Uniti, con poche garanzie di effettiva protezione per i cittadini europei. Travaglio esprime dubbi anche sulla reale efficacia di questo piano di riarmo: “Non possiamo pretendere di difenderci dall’aggressione militare con il budget destinato alle armi – scrive – se non risolviamo le cause sociali e politiche della nostra debolezza”.

Anche gli scienziati hanno preso posizione in tal senso. Carlo Rovelli e Flavio Del Santo stanno promuovendo il manifesto “Scienziati contro il riarmo” ritenendo che “oggi sia un obbligo morale e civile per ogni persona di buona volontà, alzare la voce contro l’appello alla militarizzazione dell’Europa e promuovere il dialogo, la tolleranza e la diplomazia. Un riarmo repentino” stando alla loro tesi “non preserva la pace; conduce alla guerra”

Il noto matematico Piergiorgio Odifreddi, in una recente intervista a Il Sole 24 Ore, ha definito il piano di Von der Leyen come il segnale di una “Europa in guerra con se stessa”. Secondo il matematico, l’Unione Europea, piuttosto che investire in armi e in un’espansione della sua potenza militare, dovrebbe concentrarsi su investimenti per la ricerca, la scienza e la cultura, settori che, a suo avviso, rappresentano il vero potenziale di un continente che vuole affermarsi come leader globale nel XXI secolo. Odifreddi ha aggiunto che l’Europa non deve ripetere gli errori del passato, quando la corsa agli armamenti e le politiche militariste hanno portato alla distruzione e alla sofferenza di milioni di persone. “Non possiamo pensare che la sicurezza si ottenga solo con le armi – ha dichiarato – ma attraverso l’intelligenza, la cooperazione e la diplomazia, valori che l’Europa dovrebbe rappresentare nel mondo.”

Anche altri esperti sono di analogo parere. Alessandro Orsini, docente di Sociologia del terrorismo alla Luiss di Roma e Research affiliate al MIT di Boston, ha espresso forti dubbi sul piano di riarmo europeo. In un’intervista a La Stampa, Orsini ha avvertito che la militarizzazione dell’Europa potrebbe rivelarsi un disastro geopolitico e sociale. Secondo la sua analisi, il piano di riarmo non risponderebbe a una reale necessità di difesa, ma piuttosto a un’accelerazione della logica della guerra fredda, che rischia di isolare ulteriormente l’Europa. Ha poi sottolineato che l’Europa sta mettendo in atto un progetto che potrebbe rivelarsi controproducente per i suoi interessi, dando priorità alle armi invece che alla sicurezza dei propri cittadini e al rafforzamento delle sue istituzioni politiche e sociali. “Le armi non risolvono i problemi del nostro tempo – ha dichiarato Orsini – e l’Europa dovrebbe ripensare il proprio ruolo nel mondo, cercando alleanze e soluzioni non violente piuttosto che investire miliardi in armamenti.”

Elena Basile, ambasciatrice italiana ed esperta di politica estera, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, ha avvertito che l’espansione delle forze armate europee potrebbe avere conseguenze imprevedibili sulla scena internazionale. A suo avviso, il piano rischia di minare la posizione dell’Europa come mediatore globale, allontanandola dalla sua tradizionale vocazione di promotore della diplomazia e dei diritti umani. La diplomatica ha sottolineato che l’Europa dovrebbe focalizzarsi su politiche esterne orientate al dialogo e alla cooperazione, piuttosto che su un aumento delle spese militari che potrebbero compromettere il suo ruolo di attore globale neutrale e pacifico. “L’Europa deve essere una potenza che costruisce ponti, non muri – ha dichiarato – e questa corsa al riarmo potrebbe solo aumentare la nostra vulnerabilità invece di proteggerci.”

Il piano di riarmo europeo rischia dunque di essere una follia non solo sotto il profilo militare, ma anche sotto quello politico e sociale. Mentre l’Europa si sta spingendo verso una corsa agli armamenti, molti esperti, giornalisti e scienziati, non solo quelli citati, stanno mettendo in guardia contro il rischio di una perdita di identità. Se l’Europa smarrisce la sua vocazione di potenza pacifica e solidale, allora rischia di diventare solo un attore passivo nella geopolitica mondiale, incapace di garantire benessere e giustizia ai suoi cittadini. Il piano di riarmo rischia di condurre a una frammentazione politica e sociale, con conseguenze che potrebbero rivelarsi più gravi delle stesse minacce che il piano vorrebbe affrontare.

La domanda che emerge, quindi, è se l’Europa voglia davvero costruire un futuro di pace e solidarietà, o se preferisca cadere nella trappola di una politica della paura e della militarizzazione. La risposta, come sempre, dipende dalle scelte che faremo oggi. Per citare infine l’editorialista de L’Espresso, Tommaso Cerno il piano di riarmo, anziché rispondere alle reali necessità di difesa dell’Europa, rischia di essere un esercizio di potere militare che non rispecchia i desideri e le esigenze dei cittadini europei. Secondo Cerno, l’Europa starebbe diventando sempre più militarizzata, ma senza un vero progetto politico di coesione tra i suoi membri. Il rischio è che questo riarmo, anziché rendere l’Europa più forte, la faccia sembrare più isolata, in un contesto internazionale sempre più fratturato. Il vero pericolo sarebbe dunque che la militarizzazione della politica estera europea possa mettere a rischio le conquiste sociali e democratiche del continente.

 

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